Pistoletto, un Terzo Paradiso di energia

Chi non c’era, martedì alle due a Siena, in Piazza del Campo, ha perso una grande occasione. Partecipare a un’opera collettiva come il Terzo Paradiso sotto lo sguardo attento di Michelangelo Pistoletto è stata un’esperienza unica. Davvero unica, non è per dire. Unica. Alzi la mano a chi capita tutti i giorni di interagire con uno dei maggiori artisti contemporanei di livello internazionale. Roba che gli hanno dato il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia, non esattamente nel bar sotto casa.

Lo ammetto. Ho fatto la vera groupie. D’altronde, sono troppo giovane per avere vissuto gli anni Ottanta in cui le groupie si facevano alle rockstar e mi ritrovo a fare la groupie a un artista. Che ci volete fare, sono snob (e lo sapete). Sì, mi sono anche fatta firmare l’agenda e quel terzo paradiso mignon me lo appenderò in casa.

la firma di Michelangelo Pistoletto sul mio moleskine

È stato (anche) questo il bello di quella giornata: la gioia. Quando il direttore di candidatura di Siena 2019, Pier Luigi Sacco, mi ripeteva che il primo, fondamentale aspetto di essere capitale della cultura europea è che questo “cambia la mente, l’animo della città” pensavo fosse una bella metafora e uso e consumo degli scettici. Non è una metafora. È vero. E se foste venuti in Piazza del Campo a partecipare al Terzo Paradiso ve ne sareste accorti.

Gente di ogni tipo – ragazzi adulti, studenti, artisti, addetti ai lavori, semplici curiosi – per lo più sconosciuti gli uni agli altri e che, probabilmente, non si rivedranno più, felici di condividere, di creare insieme quella performance. Di vivere insieme quell’esperienza. Pistoletto è ‘fissato‘ con l’energia, soprattutto quella che si genera dell’equilibrio trovato da due componenti opposte; il Terzo Paradiso, per l’appunto, nasce da lì. Bene: ha ragione. L’energia esiste. E la senti.

Martedì, in quella gente sconosciuta che rideva attaccata con le mani a una corda, che parlava con la persona vicina come se la conoscesse da sempre, che metteva in piazza un pezzo di sé, portando un oggetto proprio come contributo all’opera, in tutto quello c’era energia. C’era energia nei bambini che, sfuggiti ai genitori, hanno approfittato di tutti quegli occhi per fare i buffoni, in mezzo alla corda tesa come dentro un recinto protetto e familiare. Familiare in mezzo a sconosciuti. E lo sapete (o se non lo sapete, ve lo dico) io non sono una che si intenerisce davanti ai bambini, giuro. Ma quella era gioia. Era energia.

La stessa energia che si leggeva nello sguardo di chi era arrivato impreparato, senza un oggetto da mettere lì in mezzo, e allora cercava in borsa, nel portafoglio, in tasca un qualunque pezzo di sé per non restare indietro. Per partecipare fino in fondo, per essere parte di qualcosa. Qualcosa che resterà, per altro, come opera d’arte, come tutte le altre volte che il Terzo Paradiso ha preso forma.

La stessa energia che si è sciolta nell’applauso finale e in quel pellegrinaggio un po’ profano che alla fine ci ha portato tutti di fronte al Maestro. Per un autografo, per una foto ricordo o anche solo per stringergli la mano e dire “grazie di questa occasione che ci ha dato“, come se nessuno volesse andarsene per non rompere l’atmosfera di festa.

E allora se una piccola cosa (piccola, si fa per dire, chissà quanti si vorrebbero accaparrare l’endorsement di Pistoletto….) come quella è capace di generare tanta energia, allora ha ragione Sacco: diventare capitale della cultura europea cambierebbe prima di tutto la nostra mente e la nostra anima. E allora lì, sì, ripartirebbe lo sviluppo di questa città.


Post scriptum polemico

Inevitabile. Lunedì sera, alla conferenza di Pistoletto sulla Cittadellarte (progetto entusiasmante, guardatevelo qui) nella Sala del Mappamondo, così come martedì alla performance non c’era molta gente. E soprattutto, c’era sempre la stessa. Gli stessi volti snob e (per me) rassicuranti. Quelli che masticano la cultura nelle varie forme, quelli che trovo alle mostre, con cui mi confronto spesso su certi temi. Nessun indignato della zumba. Che parlare male (e io della zumba ho parlato male, qui) è facile e non costa niente. Ma costruirla, la cultura, è un altro paio di maniche.

Post scriptum personale

Qualche anno fa, alla Biennale di Venezia, nell’orrido Padiglione Italia (citazione, lo disse davvero una madre a un figlio, avrà avuto sette o otto anni: “Vieni amore, adesso andiamo a vedere l’orrido Padiglione Italia”. Aveva ragione), insomma, nell’orrido Padiglione Italia mi guardavo intorno, parecchio ignorante e profana più di ora. Due grandi opere mi colpirono, allestite ai due lati, quasi una di fronte all’altra. Erano una di Kounellis, l’altra per l’appunto di Pistoletto. A dimostrazione che non è il nome che fa l’artista; ma che l’artista diventa un nome perché le sue opere ti parlano, a prescindere. Anche quando tu non lo sai.

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