Sabato pomeriggio primaverile e invece di essere al mare o a scampagnare fuori porta sono a studio, a finire alcuni lavori che mi sono rimasti indietro. Niente di strano, dico. Capita spesso di lavorare il sabato, anche la domenica, la notte quando sei sotto consegna. Non mi fa paura. Mi guardo intorno, ammiro questo posto, nel suo chiaroscuro, nella sua atmosfera che fa tanto New York. Ne sono fiera. Forse è per questo, in realtà, che sono venuta qui. Forse è questo che sono venuta a cercare.
Oggi mi lamentavo, a pranzo, crogiolandomi nel sole primaverile. Mi lamentavo perché dei miei due lavori, nessuno è stabile. Perché nessuno è garantito, perché in nessuno dei due la mia professionalità viene riconosciuta, apprezzata. Perché mai niente è acquisito e perché ogni giorno, ogni santo giorno, devo ricominciare da capo, per conquistare con il coltello fra i denti ogni singolo centimetro pur sapendo che il giorno dopo tutto quel lavoro sarà spazzato via e io dovrò ricominciare ancora. Mi lamentavo perché sono stanca. Perché tutti gli investimenti che ho fatto – in tempo, energia, passione, stanchezza, vita sociale annientata e anche soldi, sì, che diamine – tutti quegli investimenti sembrano non germogliare mai. ‘Noi moriremo tutti seminatori’ mi sono ritrovata a dire qualche giorno fa a chi mi ripeteva la storia del seminare oggi per raccogliere domani.
Noi. Noi la generazione dei ‘bamboccioni‘, di quelli che “non cercano un lavoro perché stanno bene a casa con mamma” (John Elkan dixit – magari! aggiungo io). Noi intrappolati nella gabbia di chi ha sperperato tutto, prima di noi. Eppure nemmeno noi tutti uguali, nemmeno noi tutti sulla stessa barca, nemmeno noi tutti con gli stessi sani principi.
Sì, ok, sto deviando. Mi sto perdendo. Mi lamentavo, insomma. E mi sono ritrovata qui. Mi guardo intorno e sono fiera. Mi guardo intorno e assaporo questo posto con la consapevolezza di averlo creato da sola, con le mie energie, giorno dopo giorno. Le mie e quelle dei ragazzi che lo fanno crescere con me, e quelle delle famiglie che ci hanno supportato e degli amici che ci hanno sopportato, pur guardandoci in modo strano tutti quanti quando, un anno e mezzo fa, abbiamo iniziato a parlare di co-working. Anzi di co-living che è ancora più strano e curioso e incomprensibile. Tutte energie positive che ci stanno facendo crescere. Tutte energie che arrivano da dentro – dalla cerchia dell’amore – e non da fuori. Per questo, inconsapevolmente, oggi sono venuta qui.
Per ricodare chi sono. Per ricordare le scelte che ho fatto e che faccio ogni giorno e per esserne fiera. Di quello che costruisco, di quello che imparo, di quello che sbaglio, certo, ma che mi serve per migliorare. Di quello che non vendo. Di quello a cui non mi piego. Di quello che, comunque vada, nel bene o nel male, avrò fatto da sola.
Non importa se domani mi aspetta un’altra delusione. Se un’altra volta il mio lavoro, il mio impegno non verranno riconosciuti, verranno denigrati o usati contro di me per annacquare il disagio di qualcuno che non ha la stoffa per camminare con le proprie gambe. Non importa. Domani ricomincerò a conquistare ogni centimetro. Con il coltello tra i denti. E dopo domani di nuovo. E il giorno dopo ancora. Saremo anche ‘la generazione a cui hanno rubato il futuro‘ – come mi ha detto una volta una persona – ma io non mi arrendo. Su questo ci potete scommettere.
POST SCRIPTUM
Sì. Oggi non si parla di cultura né di politica né di città. Questo è un post privato. Una mattana tutta mia. D’altronde questo è un blog privato nato per raccogliere i miei smatteggi. Se non vi va bene, se siete delusi, andate a leggere quello di qualcun’altro, ché di gente seria e competente è piena (?) la rete.