Renziani dell’ultim’ora, unitevi!

Il problema, come spesso accade, è indossare la maglietta giusta. Perché chi non ha casacca, chi non ha colore, manda in confusione i piani dei controllori, sfugge alle caselle che servono a contarsi. E, soprattutto, a distinguere un noi e un loro.

Tutto ruota sempre intorno al noi e al loro – o, come ci insegnavano all’università, all’ingroup e all’outgroup. Che però, in questo nostro bizzarro Paese – e ancor di più nella nostra vana città, da sempre specchio miscrocosmico del macrocosmo – sono tutt’altro che categorie chiuse. Rigide o definite. Giammai! Il bello sta proprio nelle mutazioni, anche genetiche, che gruppi, gruppuscoli e sedicenti fazioni mettono in scena, anno dopo anno. Non solo per saltare sul carro dei vincitori – che, si sa, è sempre troppo piccolo o troppo affollato – ma anche per partecipare all’eterno girotondo dello ‘scaricabarile‘. Del ‘io non c’ero e se c’ero, dormivo‘.

Ultimamente la vittima di questo valtagabbanismo è il ‘povero’ Matteo Renzi. Lui stesso su un ottovolante continuo di popolarità che gli farà venire il mal di testa. Non si sa se siano più numerosi, oggi, i renziani di ferro o quelli dell’ultim’ora. Quelli che ‘se c’era Renzi‘, ma che cinque mesi fa votavano Bersani, perché il sindaco fiorentino era un berlusconiano travestito, troppo poco di sinistra.

Tant’è. Il problema vero, in questo nostro strambo Paese, è l’assenza di memoria. Tutto passa, tutto scorre, tutto viene digerito. E accade nella totale indifferenza dei cittadini che ormai non fanno più caso alle posizioni, ai commenti, ai proclami, agli slogan. O magari ci fanno caso, ma non li registrano, già consapevoli che presto saranno sostituiti. Da altro, da altri. Che sembreranno nuovi, pur essendo vecchi e sepolti.

Sta qui il cortocircuito. A Siena come in Parlamento. Il cortocircuito di chi vuole proclamare il cambiamento essendo, egli stesso, l’antitesi al cambiamento. Metafisica rappresentazione della dialettica che fagocita se stessa.

Tutto passa e ai cittadini, all’opinione pubblica, si può raccontare tutto. E il suo contrario. Consapevoli che raramente qualcuno alzerà il dito per chiedere spiegazioni. Questa è l’unica solida base su il potere reitera se stesso. Su cui gli accordi si sciolgono e si riaffermano, ma solo in superficie perché sotto, dove conta, niente cambia. Mai.

Quello che davvero stupisce – o forse no – è l’atteggiamento di un Paese, di una città, che ormai sembrano digerire tutto; che si infiammano nel momento in cui le cose accadono, salvo poi dimenticarle velocemente. Che oggi si schierano con l’uno contro l’altro, ma domani sono pronti a giurare che l’uno e l’altro sono sempre stati amici e allora ci si può schierare con tutti e contro tutti. E’  questo atteggiamento che ha portato la politica italiana e cittadina a permettersi questa fase di stallo prolungato; la speranza che, bene o male, passato il primo momento di arrabbiatura, di disamore, di disincanto, tutto venga assorbito e il Paese, la città, tornino bene o male malleabili e manovrabili come sono sempre stati. Impermeabili.

Ah, se c’era Renzi!

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