Lo so. Mi sto inerpicando su una parete scivolosissima ad alto rischio di sfracellarmi. Però, a mente fredda, vale la pena fare un paio di riflessioni. Che prescindono dalla vittoria strepitosa della Torre, dalla conferma di Andrea Mari come uomo e professionista maturo, dalla diatriba scatenata dell’affare Nicchio-Montone e anche, infine ma non meno importante, dall’assedio mediatico e pseudo animalista, partito con l’incidente a Periclea e sublimatosi con il delirio da social network che si sta consumando intorno alla presunta manifestazione in programma in Piazza del Campo il 16 agosto alle 4 del pomeriggio (sic!).
Chiariamoci. Non ci sarà alcuna manifestazione animalista. La questione è da annoverare nella semplice ricerca del quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria, astutamente gestita da chi spera di farsi luce coi riflettori altrui. Non è mia intenzione dare altro risalto a chi ne ha, a mio modesto parere, fin troppo. Inoltre, banalmente, il questore e il prefetto non autorizzeranno questa né altre manifestazioni simili per un semplice motivo di ordine pubblico: gestire con serenità e con giudizio una manifestazione complessa e affollata come il Palio di Siena necessita, di per sé, di forze ed energie che non possono essere disperse in altri rivoli. Quindi, capitolo chiuso.
La cosa su cui riflettere è, a mio parere, un’altra. Ed è squisitamente mediatica. Il problema del Palio – se problema possiamo definirlo – è solo di comunicazione.
A Siena, per ogni bambino che nasce la contrada espone la bandiera con il fiocco rosa o azzurro, così come espone la bandiera listata a lutto per ogni amico cui diciamo addio. La contrada ci accompagna nei momenti importanti della nostra vita: ci guida nel debutto in società, si congratula con noi per i nostri diplomi, per le nostre lauree, per i nostri traguardi raggiunti sul lavoro, ci porta fiori e auguri ai matrimoni. Ci fa compagnia negli anni della vecchiaia. La contrada ci fa crescere bambini insieme ad altri bambini, come fanno tante altre realtà, certo, dagli oratori ai boy-scout, ma con uno spirito diverso. La contrada è una famiglia, non una squadra di calcio, e come accade con le famiglie – nel bene e nel male – non la scegli. La contrada è come la mamma: per quanto possa farti arrabbiare, litigare, sbraitare, l’amerei sempre, incondizionatamente, e ogni volta tornerai da lei. Potrai allontanarti, per un po’ o anche a lungo, ma non la rinnegherai. Non la sostituirai, semplicemente perché la tua pancia ti dice che non ne saresti capace.
Quante banalità messe tutte in fila…
Già. Banalità nostre. Di noi senesi e di chi, seppur non senese, ha avuto la pazienza, il desiderio e l’umiltà di avvicinarsi al Palio senza pregiudizio. Di comprenderlo ed innamorarsene.
Ma cosa passa, di tutto questo, all’esterno? Poco o niente. Basta leggere le polemiche dei giorni scorsi, non tanto e non solo quelle di quegli animalisti ottusi che seguono un filone a prescindere, senza interessarsi ad approfondire, ma soprattutto quelle di giornalisti, intellettuali, opinionisti, politici che hanno, ahimè, un peso specifico diverso.
Se facciamo un’analisi linguistica spicciola è facile capire cosa è il Palio, fuori da Siena: uno sport. Una gara. Un divertimento. Al massimo, un’espressione di folklore. Male che vada, una barbarie medievale e anacronistica. E allora è normale che l’obiezione diventi “voi, che uccidete i cavalli per divertimento, trovate un altro sport su cui scannarvi”. Che ne so, non potete andare ad accoltellarvi fuori dagli stadi come fanno tutti? (Si, ok scusate, questo è populismo demagogico, avete ragione…).
Il punto è che il Palio sarà sempre attaccato finché non riuscirà ad esprimere la propria eccezionalità. Finché non riuscirà a raccontare la propria storia, le proprie radici, gli aspetti rituali e antropologici, il senso di appartenenza identitaria e comunitaria probabilmente unico al mondo.
Non basta difenderci, alzando barriere, limitandoci a pretendere – come ha fatto in modo comunque sacrosanto il sindaco, in conferenza stampa – di essere “compresi prima che giudicati”. Non basta asserire che amiamo i cavalli, che quello che ha fatto Siena per la salvaguardia e la tutela degli animali non l’ha fatto nessun’altra manifestazione al mondo, per non parlare dei contesti sportivi come gli ippodromi. Non basta cercare di spiegare che quando accade un incidente i primi a soffrire, più di chiunque altro, siamo noi senesi. Bastava, forse, quarant’anni fa, non oggi.
Il tempo è cambiato. Il Palio è cambiato. La sensibilità umana verso certe tematiche è cambiata. La comunicazione è cambiata, diventando a tutti gli effetti un mestiere. Un mestiere che non può giocare solo di difesa. Se aspettiamo di ribattere ogni volta che verremo attaccati, saremo sempre un passo indietro e le nostre argomentazioni, per quanto reali, fondate, documentate, si disperderanno comunque dentro il baccano.
Dobbiamo diventare attivi. Dobbiamo essere noi a raccontare il Palio, ma prima ancora a raccontare la contrada. A raccontare il nostro inverno, i legami sociali che ne stanno alla base, i risvolti antropologici, il welfare inventato prima del welfare. E non con una inutile retorica impacchettata, ma andando a fondo.
Provocazione: perché organizziamo gli educational sulla Francigena, ma poi accettiamo che a raccontare il Palio sia gente che arriva in città, ben che vada, la mattina stessa – se non addirittura facendone una cronaca guardando solo le immagini alla tivù – e che non conosce i nomi delle contrade, né le sa distinguere dal colore del giubbetto?
Trent’anni fa abbiamo dato vita al Consorzio per la Tutela del Palio, organismo imprescindibile di cui sono sempre stata un sostenitore. Non basta. Non basta più. Non basta il lavoro, seppur lodevole e certamente fatto in buona fede e in onestà intellettuale, di pochi priori e membri laici che si occupano di quello e di mille altri aspetti. Non basta. Il contratto in esclusiva firmato con Rai Due quest’anno ne è dimostrazione lampante: un’esclusiva che ha oscurato il corteo storico trasmesso in streaming dalle reti locali – e le proteste sono arrivate da tutto il mondo – a beneficio di una rete nazionale che si è collegata con Piazza del Campo mezz’ora prima che uscissero i cavalli dall’Entrone. Con tutto il rispetto per chi ci ha lavorato, cosa mai puoi raccontare di una festa così complessa in mezz’ora? Cosa passa, fuori da Siena, dell’eccezionalità del Palio che vada oltre quel minuto e poco più di corsa? Niente.
Capiamoci bene, non ho mai, mai, pensato che la soluzione sia il “fuori la Rai dal tufo“. Mai. Né che dovessimo chiudere le porte per proteggere il nostro intimo. Al contrario. Il racconto del Palio è così forte anche perché ha affascinato ed affascina migliaia di persone nel mondo ed è esattamente questo che scatena gli attacchi animalisti; la possibilità di avere il massimo risultato con il minimo sforzo, godendo di una cassa di risonanza esponenziale rispetto a un nucleo piccolissimo di difensori. Né possiamo pensare, al giorno d’oggi, che sia possibile in qualche modo “limitare” il racconto del Palio: basta volgere uno sguardo alla Piazza senza riuscire a contare i telefoni, le macchine fotografiche, le GoPro e da quest’anno, poveri noi, anche i celebri selfie-stick per capire che l’immagine e il rimbombo del Palio arriveranno fuori da Siena sempre e comunque, rimbalzeranno sui social network in modi diversi e spesso inopportuni e non c’è niente che noi possiamo fare per fermare questo processo.
Ma c’è qualcosa che possiamo fare per adeguarsi adesso, per tentare di raccontare il Palio oltre quel minuto e poco più di corsa di cavalli. Di raccontarlo meglio e di tutelarlo noi per primi, reprimendo certe manie protagoniste che ci offuscano le mente quando abbiamo in mano i nostri profili social, ad esempio. I social network sono una cosa seria e quella che oggi si chiama web reputation lo è altrettanto: non possiamo pensare di ignorarli, né di gestirli come avremmo gestito quarant’anni fa le poche fotografie che restavano delle Carriere.
Non sto parlando di censura, né di autocensura. Sto parlando di buon senso – nella dimensione privata di ognuno di noi – e di strategia comunicativa nella dimensione pubblica. Non è (soltanto) applicando un rigido controllo sulle magliette o le tazze che vogliono riprodurre gli stemmi delle contrade che si tutela il Palio. E non è infilandosi in polemiche virtuali più o meno sguaiate – che tracimano da chi tenta di spiegare e chi vuole solo distribuire manate a destra e a manca – che si veicola un messaggio antico e articolato come quello della nostra Festa.
Su questo aspetto si gioca il futuro del Palio. Sulla nostra capacità di raccontare al mondo che non è uno sport, non è un divertimento, non è una trovata turistica, né una gara qualunque. E che la risposta a quella affermazione superficiale – “trovate un altro modo per divertirvi” – è, semplicemente, che dovremmo trovare un altro modo di essere noi stessi. Dovremmo cancellare Siena e diventare qualcos’altro.
Proviamoci. Riflettiamoci.
Poi, per carità, ci sarà sempre chi non capisce o chi non accetta; e ci sarà sempre chi scriverà che facciamo correre i cavalli sulla pietra serena, che li facciamo sbattere “sulle sporgenze dei palazzi che affacciano sul percorso”, che li droghiamo, che li macelliamo per mangiarli, che ne sono morti dieci, cinquanta, cento, mille, che siamo assassini medievali e trogloditi.
D’altronde, c’è anche chi crede alle scie chimiche, racconta di essere stato rapito dagli alieni o non crede che l’uomo sia andato sulla Luna. Non si può piacere a tutti ed essere eccezionali, talvolta, fa pagare anche questo scotto.
ps – ho rifletto a lungo sull’opportunità di pubblicare questo post, mettendo in atto quel processo di riflessioni privata e pubblica di cui scrivo. Poi ho deciso che, appunto, la tutela della nostra Festa e della nostra città passa anche, singolarmente, da ognuno di noi.
ps – la foto di copertina è di Daniele Zacchini che l’ha pubblicata sul proprio profilo Facebook e che spero non me ne vorrà: racconta l’essere contrada più di molte altre immagini.
[…] Questa intervista vuol essere il mio contributo a comunicare l’eccezionalità che il Palio di Siena esprime oltre la corsa come ha giustamente spronato a fare Giulia Maestrini qui […]
Condivido pienamente il tuo pensiero. Premetto che non sono di Siena ma sono quasi dieci anni che sono in piazza perché simpatizzo per la Torre…a parer mio la contrada non la scegli, è lei che sceglie te. Mi son avvicinata in punta di piedi al mondo del Palio, quando fin da piccolina i miei me lo facevano vedere in tv e darei qualsiasi cosa per abitare in città e vivere la contrada tutto l’anno. Non c’è un motivo sul perché sento molto il Palio; è questione di istinto, passione, mischiati all’amore per la storia e senso di appartenenza.
Sono non senese. E sono contradaiola. Una contraddizione in termini? Probabilmente sì, ma le Contrade sono talmente incredibili che siamo in tanti.
Condivido pienamente: il Palio è un serbatoio di folklore e cultura materiale immenso, su cui esistono fior di studi etnografici. Un buon punto di partenza potrebbe essere un Museo del Palio serio, allestito e ideato come i migliori musei etnografici (ne esistono di bellissimo), e studiato da architetti possibilmente contradaioli con la consulenza di antropologi e studiosi di tradizioni popolari. E poi si, spieghiamo il Palio… ma spieghiamone sopratutto le tradizione, la cultura materiale, i significati antropologici, il folklore. Sono appassionata di tradizioni popolari (da autodidatta) e perciò comprendo bene sia l’assoluta unicità del Palio, sia gli aspetti comuni ad altre realtà, come ad esempio le sorprendenti somiglianze, a livello del sistema sociale “Contrada” e per il relativo senso di appartenenza, con un’altra Festa altrettanto viva, autentica e sentita: i Ceri di Gubbio. Spieghiamo che le Contrade non vivono solo in funzione dal Palio, ma sono associazioni di mutuo soccorso, centri sociali, associazioni sportive dilettantistiche, hanno cori e compagnie teatrali, e organizzano mostre e conferenze culturali. Affrontano perfino il tema della sostenibilità e del “chilometro zero”, come si sta facendo nella Selva con l’orto di Contrada!!! E’ vero, spiegarlo non è farlo capire in modo autentico… ma ci si può provare…
Condivido tutto. E leggerlo ha fatto accrescere in me il desiderio forte di capire (e partecipare) ancora meglio la (alla) vostra Festa. Non sono di Siena, ma vi abito da ormai 5 anni e vi ho lavorato quasi 20 anni fa, quando incontrai, proprio sul lavoro, una persona speciale – contradaiola dell’Oca – che mi ha acceso la passione parlandomi della contrada prima che della corsa nella Conca. Poi, una volta tornato, un’altra persona, una contradaiola verace (Valdimontone) ha avuto la pazienza, dettata dalla sua fortissima passione – di parlarmi ancora della vita di contrada, di rispondere alle mie domande, che potevano magari suonare quasi blasfeme. Comprendo benissimo quanto dici, e ricordo le decine di “ma tu che vuoi capire, non sei di Siena” che era la risposta tipica alle mie curiosità e chiudevano ogni possibilità di accesso ad un mondo difeso gelosamente (da cosa poi?). Solo queste due persone, di cui ho grandissima stima hanno risposto alle mie prime domande. Per molte altre curiosità ho cercato di trovare risposte leggendo libri sulla storia della città e delle contrade e seguendo alcuni blog. In onore alla seconda persona che mi ha assecondato in questa mia giovane passione, mi considero un montonaiolo e presto andrò in contrada a prendere il mio fazzoletto e chiederò a Letizia di farmici il nodo! Aspetto con trepidazione il Palio d’Agosto, che intendo vivermi pienamente andando in Piazza per ogni occasione e frequentando le lastre in quei giorni.
Panem et circenses. Detto da un senese.
La mia prima “venuta” a Siena per il Palio è datata 1980 e da allora, almeno ad agosto, un passaggio, più o meno veloce, l’ho sempre fatto! Mi sono avvicinato in punta di piedi, conscio di entrare a “casa” di altri, per capire e assorbire la vera natura del Palio e della vita di Contrada. In questi anni tante cose son cambiate anche a Siena, ma, come illustri egregiamente nel tuo post, sopratutto la comunicazione di “massa” che i nuovi media ed i social network in particolare hanno messo in campo. Per me ora la vera sfida per il Consorzio della tutela del Palio sarà nel saper raccontare cos’è essere contradaiolo, cos’è la Contrada, come un senese ( e permettetemelo un amante del Palio di Siena non senese) vive il Palio. La tutela del Palio deve assolutamente farsi carico di questo, dare una fonte ufficiale e non lasciare solo ai commentatori “improvvisati” dei new media raccontare questa magnifica storia.
Ciao,
ho letto e apprezzato tantissimo l’articolo, credo che tu abbia perfettamente ragione, non mi posso soffermare a lungo, ma sono convinto che la questione, partendo da questo presupposto, debba essere portata a ben più alti livelli.
grazie!
Giulio
Bellissima riflessione; a margine di tutto ciò che viene gettato in pasto ai nostri detrattori, con commenti poco meno che da bar che generalmente si leggono ovunque sui social, questa è una disamina completa e puntuale di ciò che è il Palio oggi, nell’era di Facebook o di Twitter dentro i quali, in poche righe, si cerca di dare un senso a ciò che abbisognerebbe di mille pagine di un libro.
La dimensione pubblica del Palio, ciò che succede nella pubblica p.zza del Campo di fronte a migliaia di telecamere, macchine fotografiche e occhi a volte per nulla benevolenti, sarà sempre oggetto di attacchi violenti o di violenti atti d’amore, non possiamo prescindere da questo. Ma la parte privata del Palio, la vita in quella famiglia che è la Contrada (che come dice giustamente lei non si sceglie e ci si rimane attaccati anche se a un certo momento si va a vivere da soli distaccandosene fisicamente come ho fatto io) come si fa a farla capire a chi non ha la volontà di andare oltre? Ho una risposta, data dal mio carattere poco avvezzo alle parole: con l’esempio pratico di chi giorno dopo giorno continua a essere parte di questa città. Vivendo il Palio così come si vive in famiglia, con momenti di estremo raziocinio per salvaguardare l’incolumità di ogni ambito della festa (quindi ben vengano i caschi protettivi per i palcaioli e una transennatura della piazza più brutta ma più efficace, tanto per fare due esempi che hanno suscitato orrore in città), con momenti di incoscienza piangendo e ridendo come pazzi per gli accadimenti belli e brutti che durante l’anno paliesco/contradaiolo si maturano davanti ai nostri occhi ivi compresa la sorte dei nostri cavalli, e un certo lasciar parlare di chi “ci vole male”, senza repliche violente e inopportune che non solo non riescono a convincere il nemico di turno ma creano un immagine gretta del nostro essere senesi.