It’s oh so quiet…

Sabato scorso passeggiavo in Piazza del Campo quando ho incontrato un collega e mi sono fermata a scambiare due parole. Non lo vedevo da un po’ di tempo, dai lunghi giorni passati “a fare la guardia al bandone” – come dicevamo all’epoca – o a scaldare le sedie scomode al terzo piano del palazzo di Giustizia; così, in un pomeriggio pre-referendum e con il Monte dei Paschi ancora in piena tempesta, è venuto naturale mettersi a parlare del presente. Di cosa sarebbe potuto accadere nelle ore subito successive, come avrebbe influito il voto sulla stabilità dei mercati o sulla volontà d’investimento dei fondi stranieri, come sarebbe finita la banca che gli analisti continuano a definire come “già tecnicamente fallita” ma a cui si deve trovare una soluzione, riponendo fiducia in quel vecchio assunto del “too big to fail“.

Ragionavamo così, con la leggerezza che si deve a un sabato pomeriggio, circondati dal diluvio di luci di Natale e dal via vai di persone che affollavano il Mercato nel Campo che – a vedere gli sforzi profusi e a sentire le parole spese dai nostri amministratori – pare essere diventato, ormai, l’unico vero caposaldo della programmazione e promozione di questa benedetta città. Con buona pace della cultura, delle smart city e del turismo sostenibile.

Si chiacchierava di Monte, insomma, del processo che sta per aprirsi a Milano (il 15 dicembre, quello sull’inchiesta “madre” Antonveneta trasferito da Siena a lassù per competenza territoriale) e dell’appena compiuto ennesimo attacco della politica nei confronti di Clarich, presidente della Fondazione senza portafoglio accusato di un troppo blando legame con il territorio. Quale legame può avere, ci chiedevamo, uno che pesa meno dell’uno per cento di qualcosa che di per sé non pesa più niente? Di quali strapuntini si devono preoccupare, oggi, tutti quelli che per anni si sono preoccupati di comode e solide poltrone? Chissà. Si ragionava delle gatte da pelare che bruciano tra le mani di Morelli, impegnato in quel road-show con cui tenta di convincere all’estero che qui c’è ancora qualcosa di buono, e dell’assemblea dei soci che si era appena consumata, incoronando Alessandro Falciai come neo presidente. Per alcuni giorni, prima di quell’assemblea, era sembrato perfino che non si raggiungesse il quorum, il 20% del capitale presente o delegato in Viale Mazzini. “Ma Siena che fa?” si chiedeva retoricamente un’attenta osservatrice in quelle ore; “Con tutti i pensionati, ex dipendenti e correntisti storici che ci sono in provincia, a mettere insieme le deleghe e affidarle a un leader minimamente credibile rischiano di raggiungere il quorum ed esprimere perfino il presidente!“, analizzava non senza un certo, pur consapevole, stupore nei confronti di questa città placida e anestetizzata.

I conti non sono in grado di farli, ma è probabile che tutte quelle deleghe senesi non avrebbero comunque espresso il presidente. Mi dicono anche che qualcuno ci abbia provato, a radunarne un pacchetto discreto, con scarsi risultati. Tant’è.

In oggi caso, ragionavamo così, in un sabato pomeriggio di dicembre, il mio collega ed io sotto la Torre del Mangia e intanto, intorno a noi, tutto scorreva. La gente affollava sorridente il Mercato nel Campo, i commercianti accudivano i loro banchini dai teli bianchi, lamentandosi un po’ che i visitatori fossero meno che in passato e con il portafoglio più scarico, gli amministratori rilasciavano interviste sulla bontà e sul successo di questa pregevole iniziativa, le luci di Natale continuavano a incorniciare, festose e accoglienti, finestre e terrazze. Intanto poco più su, in Piazza Salimbeni, veniva acceso il grande albero di Natale di fronte alla Rocca, con concerto donato dalla banca ai cittadini a passeggio sul Corso e tanti Babbi Natali di rosso vestiti, prodighi nel regalare palle logate Mps e caramelle per i bambini.

palla“È una banca retail, è giusto che si occupi del rapporto con la comunità e il territorio: palle di Natale e caramelle hanno più senso degli zainetti da private banker della City che piacevano tanto a Mussari” mi dice qualcuno che la banca la conosce bene. Sarà anche vero, ma mi pare tutto così surreale.

Questa città non si è accorta di cosa è accaduto o, se se ne è accorta, continua a far finta di niente” mi dice il collega con cui parlo che è “abbastanza senese da amare Siena, ma abbastanza lontano da poterla osservare con distacco e non soffrire” per quello che vede. Ha ragione. Spesso si ha la sensazione – o almeno io ce l’ho – che molti aspettino solo il ricomporsi della bolla. Si va avanti a testa bassa, senza dare nell’occhio, convinti di svegliarsi un giorno e ritrovarsi esattamente dove eravamo. Agiamo e ci comportiamo come se fossimo convinti che nulla è cambiato davvero; con le stesse dinamiche, gli stessi meccanismi, a volte persino gli stessi volti e personaggi e voci che si ripropongono ancora e ancora e ancora, come in un labirinto dell’orrore dove ogni specchio ti rimette di fronte la strada che hai appena percorso e nessuno riesce mai a trovare l’uscita. Dove tutto viene assorbito e metabolizzato senza indignazione, senza lucidità, ma soprattutto senza memoria. Dove contano solo l’apparenza e l’involucro, lo scintillio del Mercato nel Campo, la tristezza di piazza della Posta che non è stata addobbata dalle luci, l’indignazione nei confronti di chi ha rubato gli alberi di Natale da via Montanini, l’orgoglio per l’ennesima classifica che ci piazza in testa al girone della qualità della vita.

Avanti così, giorno dopo giorno, luce dopo luce, Natale dopo Natale. E attenzione a non fare rumore, che qualcuno potrebbe svegliarsi. It’s oh so quiet, sssshhhhhh….

ps – ho scritto questo post in volo, ieri pomeriggio. Quando sono atterrata di là e ho recuperato una connessione, ho scoperto (esclusiva Reuters, poi ripresa dagli altri) che la Bce ha bocciato la richiesta di Morelli di rinviare l’aumento di capitale di Mps alla fine di gennaio. Si apre uno scenario ancora più incerto e instabile. Le considerazioni vengono ancora. O forse, addirittura, valgono di più.

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