Mansi Uber Alles

Tutti aspettano lei, anche stavolta. Dopo essere stata la protagonista indiscussa dell’assemblea di fine dicembre – quella in cui si mise ‘di traverso’ ai progetti di Alessandro Profumo e strappò il rinvio dell’aumento di capitale – e dopo esser stata altrettanto ‘protagonista’, con la sua assenza, all’assemblea ordinaria di un mese fa (la notizia era che non fosse venuta), anche oggi Antonella Mansi ha tutti gli occhi puntati addosso.

Perché dopo quello che è stato definito ‘un passo indietro‘ – ovvero la sua indisponibilità ad accettare un altro mandato – quella odierna è l’ultima assemblea che la vede in viale Mazzini come presidente della Fondazione Monte dei Paschi. Così tutti aspettano lei, anche stavolta. C’è da dire che l’evento non solletica l’appetito nazionalpopolare, né si ammanta di palcoscenico come quello di un mese fa, quando era di scena Beppe Grillo il capocomico (e come andò lo potete leggere qui).

In generale, tutta l’atmosfera pare assai più distesa dell’infuocato evento di fine dicembre, quando lo scontro tra Banca e Fondazione sui tempi della ricapitalizzazione era parecchio acceso. Profumo e Viola scelgono la solita strategia di ‘basso profilo’: arrivano in banca prima di tutti gli altri e si infilano in auditorium senza dare nell’occhio. Quando arriva lei, Antonella Mansi, i giornalisti la osservano, le sorridono, la salutano. Forse si aspettano un commento, una parola, ma pare che lei abbia già detto tutto nei giorni scorsi: la decisione è presa, la sua esperienza a Palazzo Sansedoni è concluso, la scelta è personale, irrevocabile e – ci tiene a precisare – scevra di alcuna pressione.

D’altronde al suo posto, per quel che vale, io avrei fatto lo stesso. Ha portato in fondo un compito che molti avevano giudicato impossibile (ripagare il debito con le banche, mettere in sicurezza il patrimonio della Fondazione, fare – seppur poca – cassa e mantenere comunque una partecipazione in Mps che, forte del patto sindacale siglato con Fintech e Btg Pactual al 9%, vale una posizione forte. Mica poco, considerando soprattutto che a dicembre parecchi erano ponti a darla spacciata e già si sfregavano le mani all’idea di spartirsi i brandelli, suoi e della Fondazione. A questo punto lascia il campo da vincitrice, lo dichiara limpidamente e a priori, prima di farsi tirare dentro nella girandola delle ipotesi più o meno fantasiose, ed evita di impantanarsi in affari senesi, di farsi stringere dall’abbraccio mortale di questa città che rischierebbe di avvinghiarla e farla sparire dallo scacchiere nazionale. Al suo posto, per quel che vale, avrei fatto lo stesso.

Anche stavolta, il primo intervento in assemblea è della Fondazione: era stata proprio lei, la Mansi, a cambiare il ‘protocollo’ del passato, quando a Palazzo Sansedoni toccava chiudere la discussione, mai aprirla. A dicembre aveva cambiato le carte in tavola ed era andata all’attacco, parlando per prima; oggi lo fa di nuovo, ma l’aria è tutta diversa, è più rilassata, tanto che anche il presidente Profumo quando la invita ad intervenire la chiama per nome, “Antonella..”.

Lei appare più distesa, rilassata evidentemente consapevole di aver portato infondo il proprio impegno e forse già proiettata fuori. Parla restando in piedi, leggendo il proprio intervento con voce pacata, ma senza rinunciare a dire ciò che vuole. “Preannuncio il voto favorevole della Fondazione Mps all’aumento di capitale” afferma chiaramente, poi aggiunge: “La Fondazione vigilerà affinché i risultati programmati e tanto auspicati vengano raggiunti”, ovviamente “sulla base di un rapporto di fiducia e dialettico e nel rispetto dei reciproci ruoli, tra soci e amministratori”. E qui infila l’ultima mossa perché “a questi ultimi – dice, ovvero agli amministratori – spetta la responsabilità del raggiungimento degli obiettivi indicati e su questo devono essere valutati“. Colpo di coda. Sul finale, un pensiero a “tutto il personale del Monte dei Paschi” che ha attraversato “mesi complicati” e a cui augura “buon lavoro”, chiudendo il proprio intervento senza nemmeno consumare i dieci minuti a disposizione: e quelle parole suonano un po’ come un saluto e un addio, sobrio come è nel suo stile, ma altrettanto netto e definitivo.

Una volta fuori dall’auditorium, tutti le si avvicinano. Tutti la cercano, lei sorride, risponde a tutti con le stesse parole. Ripete che la sua scelta è personale. “Ho una vita anche io! Questi mesi sono stati complicati e bellissimi, ma ho lavorato tutti i giorni venti ore al giorno“, si lascia andare con qualcuno. Intanto, dentro, l’assemblea scivola via senza intoppi né grande interesse. L’auditorium resta semivuoto, c’è il solito (ma stavolta più limitato) passaggio di piccolissimi azionisti che approfittano dei dieci minuti concessi per dire un po’ quello che gli pareho sentito parlare, così random, di Unicredit, Sorgenia, il giorno dell’attentato alla metropolitana di Londra, del comunismo di Stalin (giuro!) e addirittura dell’Arbia che si tinse di rosso, e giù andare – poi tocca alle repliche di Profumo e Viola.

E a questo punto, solo per un attimo, l’algido presidente di Mps fa trapelare una certa insofferenza. “Sono stupefatto dall’irriconoscenza di certi interventi, dovete ricordarvi che senza quello che è stato fatto negli ultimi due anni, questa banca non esisterebbe più” chiosa e, per un attimo, dimostra che dietro alla maschera sempre composta, sempre seria, sempre distante – che forse ha contribuito a rendere labile il feeling tra lui e la città – il carattere è forte e l’uomo è uomo e non macchinaE che magari si è pure stufato di restare li, in silenzio, immobile a subire gli insulti e gli sberleffi di chiunque pensa di potergli insegnare la finanza.

E’ poco più dell’una quando si va al voto: alla fine, l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro è approvato con il 96,68% dei voti favorevoli, l’1,71% contrari, lo 0,10% astenuti e l’1,4 % che non vota – senza dimenticare, però, che in Viale Mazzini è presente il 34,77% del capitale sociale, ovvero poco più del terzo che serve per costituire l’assemblea straordinaria.

 

ps. Ieri all’ingresso della sede di Viale Mazzini e dell’auditorium – nonché su tutti i principali quotidiani – giganteggiava la nuova campagna pubblicitaria di Mps. Uno slogan cacofonico e dalla punteggiatura opinabile, una chissà se volontaria ironia che definisce l’ultimo periodo “un po’ complicato” e quel nuovo messaggio che, invece di guardare al passato (come faceva una storia italiana dal 1472) guarda al futuro e dice: la banca riparte da qui. Bene. Peccato che l’immagine sia quella di Palazzo Pubblico. Considerando che abbiamo passato gli ultimi due anni a dire che si dovevano smarcare le scelte della banca dall’ingerenza della politica….speriamo che si riparta da qualcos’altro!

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