Quando temevo che mi entrassero in casa, avevo sempre pensato che lo avrebbero fatto dalle finestre dietro. Dal lato che dà sul giardino. Avevo sempre immaginato che a ‘tradirmi‘ sarebbe stata una di quelle finestre. Che il pericolo sarebbe arrivato, come nei film, dalle spalle.
Non avrei mai pensato che a tradirmi sarebbe stata la porta d’ingresso. Quella sulla strada e sotto un lampione. Non avrei mai pensato che sarei tornata a casa mia, un giorno, e mi sarei trovata di fronte la porta sfondata, divelta, distrutta. Non avrei mai pensato che avrei atteso, sul cancello, l’arrivo dei Carabinieri – l’arrivo di qualcun altro, di un estraneo – per entrare, con lui, in casa mia. Casa mia.
Adesso chiudo gli occhi e li vedo. Li vedo frugare tra le mie cose, tra i miei cassetti. Toccare la mia vita. Appropriarsene senza rispettarla. Portare via le cose, scegliendole in base al loro valore di mercato anziché a quello che hanno nel mio cuore, nella mia testa.
Loro hanno violato l’intimità, violentato gli spazi e la memoria. Loro hanno toccato, sporcato la mia storia personale. Loro hanno forzato, spaccato, divelto. Loro non hanno avuto rispetto, non hanno avuto dignità, scappando nel buio come topi. Loro hanno visto oggetti e li hanno presi. Io vedo, in quei vuoti, pezzi di una vita che non c’è più.
Passerà anche questa. La porta è ricostruita più robusta e noi, ancora una volta, ci siamo seduti al tavolo in giardino – nel nostro giardino, della nostra casa – a rimettere insieme i pezzi. Ancora una volta. Ma gli oggetti non ci sono più. Non ci saranno più.
Ed è vero che le persone che mancano non sono negli oggetti; che non restano negli oggetti che si lasciano dietro. Ma loro, nel mio cuore e nella mia pancia, saranno maledetti. Per sempre.