Breve premessa.
Quando pensavo di scrivere un blog, quando – per anni – ho rimandato il momento di iniziare a scrivere un blog, ho sempre immaginato uno spazio, in qualche modo, giornalistico. Avevo bisogno di un luogo, di una pagina, che non riuscivo a ritagliarmi altrimenti. Uno spazio dove parlare del mondo; di politica, di società, di cultura; uno spazio in cui analizzare gli scenari e le situazioni, in cui accompagnare i grandi cambiamenti. Non potevo farlo su un quotidiano – perché io sono fedele alla vecchia scuola del giornalismo anglosassone, quella che mi hanno insegnato all’università quando là fuori, nel mondo reale, già nessuno la metteva più in pratica: i fatti separati dalle opinioni, con le opinioni concesse a pochi, validi e affidabili professionisti. Quindi non a me. E non potevo farlo (solo) sui social network. Avevo bisogno di uno spazio mio. Anche a rischio di infoltire le file dell’odioso – non solo per definizione – “popolo del web” che combatto fermamente e strenuamente. Sì, combatto la democrazia della Rete che piazza tutti allo stesso pari, che legittima ogni opinione dietro ogni fantomatico account, che rimesta e pasticcia tutto senza digerire niente. (La combatto, ma voglio farne parte. Contraddizione, lo so; non è la mia prima e nemmeno la più grave, ma queste le affronteremo col tempo. Non stasera).
Volevo avere uno spazio, dicevo, dove parlare come una giornalista, ma quando mi sono trovata di fronte a queste pagine, ho avuto il blocco dello scrittore; per anni – senza il blog – mi sono detta di fronte a ogni avvenimento importante: “ecco, se avessi avuto un blog, questo sarebbe stato ottimo materiale“. E adesso che da qualche giorno ce l’ho, questo spazio, non riesco a riempirlo se non con cose da ragazze. Riflessioni personali, più simili al diario di un’adolescente che alla penna di una giornalista. Male. Devo recuperare (e non aprire questa parentesi, ché la breve premessa potrebbe diventare un libro e non mi pare il caso. Non stasera).
Perché stasera voglio parlare di donne.
Anzi di una donna: Laura Boldrini, neoeletta Presidente della Camera. Mi ha emozionato il suo discorso di insediamento, per le parole scelte con cura e pesanti come macigni, rese ancora più nette dalla visibile tensione che scandiva, lentissimi, i suoi tempi. E mi ha emozionato ancora stasera, nella sua prima uscita mediatica, ospite su RaiTre da Fabio Fazio. Meno emozionata lei, ma altrettanto forte. Autorevole ma non presuntuosa, ferma ma non arrogante.
Non mi interessa adesso indagare i meriti che l’hanno portata a ricoprire quel ruolo; decidere o sancire se siano di Sel che l’ha eletta, del Pd che l’ha proposta alla Camera, del Movimento 5 Stelle che ha sospinto la barra verso un rinnovamento altrimenti improbabile. Mi interessa lei, mi interessano il suo tailleur nero, le scarpe basse, gli occhi accesi, la voce pacata ma netta.
Laura Boldrini è una donna sobria dopo anni di velinismo; parla senza sbraitare, sostiene posizioni senza offendere l’avversario, lancia messaggi politici importanti senza affidarsi a slogan vuoti e plastificati. Usa il verbo ‘debbono‘ anziché ‘devono‘ quasi a sottolineare un linguaggio antico, l’appartenenza a un tempo in cui la scelta delle parole era ancora simbolo di un orizzonte culturale. Laura Boldrini è al primo mandato, ma non sente per questo il bisogno di difendersi, attaccando. Non sente il bisogno di legittimare o giustificare la propria presenza in Parlamento perché il suo lavoro parla per lei, la sua esperienza, i suoi incarichi, il suo percorso stanno lì a testimoniarne la preparazione.
Laura Boldrini emoziona per quello che dice. Per le parole che sceglie, per i temi che mette sul tavolo con cura e attenzione. Parla di femminicidio dopo anni di ‘mignottocrazia’; di diritto di cittadinanza dopo anni di ‘puri’ che volevano sparare ai migranti dalle torrette sulla spiaggia. Parla di noi, generazione precaria che sta pagando un disastro che non ha provocato, dopo anni in cui siamo stati trattati da ‘bamboccioni’, falliti, nullafacenti e parassiti; e parla degli ultimi dopo anni in cui si è cercato di nasconderli come polvere sotto il tappeto, perché non turbassero il panorama dei primi. Laura Boldrini parla di rispetto per le istituzioni laddove proprio le istituzioni sono state le più vilipese dal comportamento dei loro stessi rappresentanti, fino a portare noi cittadini ad allontanarcene, a smettere di credere nella centralità del loro ruolo politico. Ribatte fermamente, con orgoglio, come una rivendicazione che vuole quasi rassicurarci: “No, esiste la buona politica, non siamo tutti uguali“.
E parla, infine, della riduzione del proprio emolumento, senza cavalcare l’onda del populismo; dice “l’ho ridotto perché era una piccola cosa che potevo fare subito; non perché sono tanto ingenua da pensare di risolvere così i problemi economici del Paese, ma perché il rispetto per le istituzioni passa dai comportamenti pubblici e privati dei loro rappresentanti”. Pubblici e privati.
Laura Boldrini neoeletta Presidente della Camera mi fa sentire cittadina di un Paese normale.
Mi fa pensare che forse, nonostante tutto, un altro mondo sia davvero possibile.
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