Un sabato sera in cui – alla fine di una settimana pesante – decidi di non uscire e di guardare la tv, diventa un bel modo per capire dove devi andare. Cosa devi cercare.
Ieri è morto, a 77 anni Enzo Jannacci, cantautore, cabarettista, musicista, attore; artista a tutto tondo e sì, anche intellettuale, nel senso pieno e fiero che aveva questo termine prima di diventare qualcosa da cui fuggire, da cui guardarsi con sospetto. Questa sera, RaiTre ha deciso di dedicargli un omaggio speciale, una puntata – in replica – di ‘Che tempo che fa‘. Ancora più bella perché immune dalla retorica che si riserva ai morti, vera e attuale, fresca, celebrativa sì, ma non piangente.
E in questa puntata sono passati tutti loro, gli amici di Enzo, una carrellata di protagonisti di quegli anni formidabili, di un Dopoguerra di rinascita in cui l’Italia sbocciava, si rifaceva il trucco e la sostanza, tornava a riempire allo stesso tempo i caffè e le fabbriche.
Protagonisti dello spettacolo e della cultura, del palcoscenico e dell’analisi sociale e politica.

Il sodalizio con l’indimenticabile Giorgio Gaber e con il Premio Nobel Dario Fo, ma anche gli altri esponenti di una Milano intelligente e ironica, colta ma non snob, elegante e tagliente al tempo stesso. In quella carrellata passava l’immagine di un’Italia che aveva sofferto, ma che voleva risalire. Che voleva ridere – o sorridere – senza dimenticare la realtà, i problemi, le questioni sociali e politiche aperte e da sbrogliare.
E passava, soprattutto, un modo di fare spettacolo che era anche un modo di fare cultura e (buona) comunicazione. Uno spettacolo – e una televisione – in cui i toni erano sobri ma non scontati, in cui si sussurrava più che sbraitare, in cui le donne erano bene vestite, ma soprattutto vestite, in cui si solleticava l’ironia del pubblico senza bisogno di urlare, infilare parolacce, allusioni, scurrilità sessiste. Era un mondo dello spettacolo che attingeva a un medesimo e condiviso scenario culturale, che aveva basi solide di conoscenza (non di conoscenze) e i cui protagonisti facevano sì, ognuno la propria strada, ma costruivano sodalizi basati sul rispetto, sulla reciprocità, sullo scambio culturale.

In quella carrellata ho riascoltato con piacere – e riscoperto – pietre miliari della canzone nazionalpopolare italiana, permeata fin nel midollo di ironia, di critica sociale, di arguzia ma anche di leggerezza e di sorriso perché “la vita l’è bela, basta avere l’ombrela che ti para la testa, sembra un giorno di festa“. Ho riscoperto e assaporato la linfa intellettuale e vitale di un Paese meraviglioso, un Paese fatto di cultura, di intelligenza, di capacità, di eleganza.
E può darsi che io sia vittima della nostalgia, di quella strana spinta che ci porta spesso a guardare al passato come al tempo ‘perfetto’, a dimenticarne le contraddizioni, le tensioni violente, le ingiustizie sociali dilanianti per apprezzarne solo la bellezza, la poesia. Può darsi. Quel che è certo è che nell’Italia di oggi, nell’Italia che, oggi, il Presidente Napolitano ha deciso di mettere in mano ai “saggi” poiché il Parlamento uscito dalle ultime elezioni non è stato in grado – non è stato in grado – di formare un Governo; ecco, in questa Italia riascoltare Enzo Jannacci e con lui l’espressione intelligente di quegli anni formidabili mi ricorda quanto in questo Paese ci sia di bello.
Quanto ci sia da amare e da rispettare. Da difendere, con orgoglio.
Mi ricorda che questo è (ancora) un Paese per cui vale la pena di combattere.