Quant’è bella giovinezza (?)

Venerdì è arrivato a Siena il premier, Enrico Letta, per partecipare al Convegno di Pontignano, appuntamento anglo-italiano in cui si discuteva di welfare ed Europa. La prima sessione, l’unica ‘aperta‘ alla stampa, si teneva al Rettorato (prima che i convegnisti trasmigrassero a Pontignano per i lavori a porte chiuse) e lì, ad attendere Letta ed i suoi ministri (Carrozza, Giovannini), c’era un piccolo comitato di accoglienza. Studenti universitari, forse una quarantina, ordinatamente dietro a transenne controllate da un servizio di sicurezza certo degno del premier, ma che a Siena quanto meno incuriosiva. Parevano più pericolose le signore costrette a fare il giro delle sette chiese a causa delle strade completamente chiuse, piuttosto che gli agitati contestatori. Ma tant’è.

Mi hanno stupito, quei ragazzi. Megafono alla mano urlavano la loro contestazione a “un Governo in continuità con quelli che abbiamo contestato in passato; un Governo che chiamano di ‘pacificazione’ ma che non ha pacificato niente e che è ostaggio di una persona condannata“. E non solo. Dentro ai loro slogan – perché, seppur mosse probabilmente dalle migliori intenzioni, alla fine le parole suonavano come tali – c’era un po’ di tutto: c’era la disoccupazione al 12%, quella giovanile al 40%; c’era il taglio al welfare e lo spettro di una universitá d’élite; c’era la protesta contro l’ acquisto degli F35 e la richiesta di abolire la ‘Bossi-Fini’ dopo la tragedia di Lampedusa.

C’era soprattutto – parole loro – “una generazione che ha tolto la fiducia al Governo”. Sacrosanto, a pensarci bene. Sacrosanto che gli studenti – i giovani – colgano l’occasione della visita cittadina del premier per manifestare il loro dissenso. Il problema, se problema si può chiamare, è che in realtà la generazione non c’era. Una quarantina di persone. Non è una generazione.  Non è un movimento. Non è nemmeno una rappresentanza. E’ una percentuale infinitesimale di quella generaizone – quella sì – che di motivi per protestare ne avrebbe e parecchi. E gravi. Che dovrebbe esserci davvero a contestare il Governo, non tanto per gli F35 o per la ‘Bossi-Fini’ – argomenti legittimi, per carità – ma quanto, immagino, per i tagli alla scuola e alla ricerca, per l’assenza del lavoro, per la totale mancanza di prospettive che costringe all’emigrazione chi può permetterselo, per il destino segnato alla precarietà e alla condanna di pagare sulla propria pelle una crisi che lei non ha generato.

Mi ha stupito la ‘leggerezza‘, anche numerica, di quella contestazione.

Come mi ha stupito, ancora più, lo spaccato giovanile raccontato ieri sera da ‘Piazza Pulita‘.
Mi fanno paura i giovani che accorrono ai provini del Grande Fratello (ancora??) alla ricerca di una ‘visibilità’ che tuttavia non sanno bene come sfuttare. E sì, è vero, i giovani non solo solo quelli e ormai fare i servizi sui provini del Gf è strumentale e sociologicamente fazioso, eppure esiste anche quello spaccato e non possiamo fingere che non ci appartenga.

Ma mi fanno paura, altrettanta, i giovani che arrivano in massa ad Assisi a vedere Papa Francesco perché lui, dicono “è il nostro modello politico di riferimento“. E va benissimo che un giovane abbia fede e stimi il Papa – lungi da me contestarne la legittimità – ma mi spaventa che si confondano i modelli, i ruoli. Che si dica “il Papa mi dà la speranza che i politici non mi danno” perché, maledizione, è con la politica che dobbiamo tutti confrontarci ed è nella politica – la Politica – che dobbiamo confidare per cambiare e migliorare questo scassato Paese.

E mi fanno paura, ancora, i diciottenni dei licei romani che parlano – anche loro – per slogan, quando di fronte a un ministro della Repubblica l’unica cosa che sanno dire è “questo Governo si preoccupa solo di mantenere la poltrona sotto il culo”, che sarà pure vero, strapperà pure l’applauso, ma accidenti non è un tema reale di discussione né una proposta di cambiamento.

Forse sono solo io che sono invecchiata. Forse anche noi a 18 anni parlavamo per slogan. Forse non eravamo diversi da loro, soprattutto se pensiamo che le istanze e le proteste sono ancora le stesse: da Berlinguer alla Carrozza, passando per la Moratti e la Gelmini, i ragazzi ancora si lamentano che cadono i tetti delle aule e che manca la carta per le fotocopie. Saranno passati 15 anni (ahimé!) ma i problemi della scuola paiono ancora gli stessi.

I giovani, da che mondo è mondo, sono la spinta al cambiamento. Da loro partono le rivoluzioni, i movimenti che fanno sterzare la storia. Fatevi vedere, ragazzi.
O forse, facciamoci vedere – se oggi uno che non ha il 90 nell’anno di nascita può essere ancora definito giovane. Altrimenti questo Paese ce lo siamo giocato davvero. E per sempre.
E non basterà un Papa carismatico a comunicativo, né basteranno tantomeno cinque minuti di luce in una tv spazzatura, a cambiare il nostro orizzonte.

Sociologia della banalità, perdonatemi.
Ma spesso sono le questioni più banali che sfuggono al nostro controllo.

Un capo politico dovrebbe guardarsi le spalle tutto il tempo per verificare se i giovani lo seguono. Se questo non accade, non potrà essere a lungo un capo politico.

Bernard Baruch

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