Non ce n’è davvero bisogno, concordo. Ché troppo hanno scritto e detto in troppi – preparati analisti e banchieri della domenica – sull’aumento di capitale da 3 miliardi che la banca Monte dei Paschi dovrà attuare nei prossimi mesi e sul braccio di ferro tra il presidente della Rocca, Alessandro Profumo, e il presidente della Fondazione, Antonella Mansi. Braccio di ferro che ha messo in scena ieri, durante l’assemblea dei soci, l’apice dello scontro. Schiaffoni reciproci, con la Mansi uscita vincitrice, almeno secondo le analisi dei ben preparati e almeno a guardare i risultati numerici del voto in assemblea. I soci le hanno dato ragione: l’aumento di capitale si farà da maggio. Questi, i fatti.
Le analisi economiche, mi perdonerete, le lascio a chi è più competente di me. Che al di là di quello che ho letto dai cronisti specializzati, io davvero non so dire quando ci saranno le condizioni favorevoli. Né, tantomeno, quali siano le condizioni che possiamo etichettare come favorevoli.
La cosa curiosa di tutta questa bagarre, secondo me, è un’altra.
È la facilità con cui noi senesi, ma forse dovrei dire noi italiani, la buttiamo in caciara. Riuscendo a trasformare tutto quanto in una semplice questione di parti; io contro te, noi contro loro, i bianchi contro i rossi. Con le parti che cambiano e si scambiano secondo le necessità e le esigenze. Mi verrebbe da dire, secondo come tira il vento.
Anche in questo complicato scenario di finanza internazionale – perché di questo si sta parlando, non di organizzare la festa dell’uva – alla fine tutto si è ridotto a un banale quanto deprimente “chi sta con chi”. L’opinione pubblica si è semplicemente polarizzata su posizioni dettate più dalla pancia che dai numeri.
Meglio l’algido banchiere, il presidente di ghiaccio venuto dal nord, o meglio la bella e grintosa imprenditrice, dal sangue maremmano e combattivo, incoronata nuova paladina di una non meglio specificata ‘senesità’?
Meglio l’intervento dello Stato a nazionalizzare l’istituto o meglio gli investitori stranieri che “questi chi li conosce, poi ci comprano e ci portano via il Monte”?
E ancora, meglio salvare la Banca o la Fondazione? Chi volete libero, Gesù o Barabba?
Perché, alla fine, questo è. Chi sta con chi. Anche se poi le ragioni profonde dell’uno e dell’altro ci possono pure sfuggire, non importa. L’importante è decidere con chi stare. E preferibilmente scegliere subito quello che vince, così si casca sempre in piedi.
È accaduto anche ieri, in quella che era l’assemblea dei soci di una banca quotata in borsa e che invece si è trasformata a tratti nella brutta copia di un bar sport, dove i toni della finanza hanno ceduto spesso il passo a quelli del tifo da stadio e il linguaggio dell’economia si è tramutato inspiegabilmente in quello da saloon.
Che per carità, tutti hanno diritto alla parola, anche il piccolo azionista che ha investito soldi (e li ha persi) o l’avvocato che ha la soluzione pronta, chiavi in mano, per sciogliere il nodo che manager di esperienza non hanno ancora saputo sciogliere. Niente di nuovo. Nel Paese dove sono tutti allenatori di calcio (e, mi si perdoni il paragone, nella città dove sono tutti cavallai) vuoi non trovare qualche centinaio di esperti di finanza internazionale?
Io devo essere l’unica a non aver ancora capito tutto questo cui prodest.
A non aver ancora chiara quale sia la strategia finanziaria per rilanciare la banca, salvandola dal tracollo, e possibilmente restituendola a un territorio che sia (stavolta) in grado di ‘gestirla’ – parola orrenda e fuorviante – salvaguardando anche il patrimonio della Fondazione, affinché questa possa tornare a distribuire benessere alla comunità (e anche su questo ci sarebbe da aprire tante di quelle parentesi che non mi basterebbe la nottata).
Mi accontenterei, per il momento, che tornassimo a vivere in una società civile dove il confronto non passi necessariamente per lo scontro e dove appoggiare una posizione non significhi necessariamente fare la guerra all’altra.
Qualche giorno fa, un analista su un autorevole quotidiano richiamava, per Mps, la necessità di comportarsi come nel dilemma del prigioniero. Parole sante. Prima però dovremmo essere sicuri di non esserci pietrificati tutti quanti noi, prigionieri – questo sì – delle nostre immutabili certezze e delle nostre granitiche verità, servite solo a uso e consumo della caciara generale.
POST SCRIPTUM.
Tanto tempo senza scrivere. Tanta assenza dalla tastiera, nonostante gli spunti che si affollano nella mia mente. Nelle tante casacche che cambio ogni giorno – giornalista, ‘imprenditore’, copywriter, organizzatrice di eventi – quella del blogger è sempre quella che, alla fine, resta dentro l’armadio. Mio malgrado.
Cerco di imparare a conviverci, con le tante casacche. Che in questo caso non stanno lì a significare che cambio sponda, o appartenenza, o che mi piace salire sul carro del vincitore. Significano solo che cerco, non sempre con successo, di barcamenarmi tra i tanti impegni, le tante staffe su cui tengo i piedi per cercare di mantenere la rotta dritta, tentare di mantenermi senza abbandonare i miei sogni. Senza svendermi. Che sarebbe già qualcosa.
sei sempre unaa delle migliori letture per chi vuol sentire una voce lucida e fuori dal coro.. grazie giulia
Troppo buona. Grazie. La Matta