Mi dice il mio amico, “è colpa del cambio di temperatura“. Mi dice, “finché non si stabilizza la temperatura, la gente non trova equilibrio”. Se lo dice lui che sta al pubblico tutti i giorni, io ci credo. Mi dice, “quando ci sono queste fasi, io mi faccio il segno della croce e penso che per qualche giorno starò in silenzio, aspettando che passi“. Mi rincuora. Almeno vuol dire che non sto diventando completamente matta. O almeno non più di quello che sono già.
Lo pensavo, giuro. Ho appena finito di parlare al telefono con la mia amica, fatalmente psicologa ma non la mia psicologa, e ho appena finito di autodiagnosticarmi una sindrome maniaco-depressiva. “Fasi sostanzialmente depressive, alternate da brevi e rari picchi di mania superomistica”, ho detto. Non sono convita di aver messo insieme una frase di senso compiuto, ma per lo meno suonava bene all’ascolto.
Mi lamento. Ultimamente mi lamento tanto da venirmi a noia da sola. Da non sopportarmi. Sembro un disco rotto, mi lamento ogni giorno delle stesse cose, degli stessi meccanismi, delle stesse storture che fanno intrinsecamente parte di questo Paese – pare – ma a cui non riesco ad abituarmi.
Mi lamento (anche) di essere considerata giovane. Non di essere giovane, di quello non mi lamenterei affatto, ma il punto è che non lo sono. O meglio, posso pure esserlo in un’Italia dove si è giovani fino a cinquant’anni, ma non lo sono. Non voglio esserlo. Non voglio esserlo laddove il “sei giovane” diventa immediatamente una scusa o un sottile alibi per sottintendere che non sei all’altezza. Che non hai fatto abbastanza esperienza, che non hai visto abbastanza mondo, che non sei abbastanza maturo per lavorare e per lavorare bene. Laddove il “sei giovane” lascia intendere una neppur tanto velata discriminazione professionale. Sei giovane e io ti do la possibilità di crescere, di fare esperienza, di imparare, di maturare, di fare curriculum. Ovviamente il tutto mentre lavori per me, ai miei ritmi, ai miei tempi, alle mie esigenze granitiche e, inutile dirlo, gratis. Tutte cose che hanno già detto, prima e meglio di me, i geni che poche settimane fa hanno lanciato la campagna COGLIONENO dedicata ai freelance.
E che, siccome è figa ed esaustiva e non ha niente che deve essere aggiunto, vi riposto, nel caso ve la foste persa.
Ok. Non è solo questo, lo ammetto. Questa è una parte del mio malessere. Una parte del tutto ma non credo che il tutto alla fine vi interessi davvero. Quindi me lo tengo. Nel caso, ne parliamo in privato di fronte a uno spritz (notoriamente riconosciuto come il miglior amico dell’uomo).
Oggi a un certo punto in cui la concatenazione cosmica degli eventi si stava facendo particolarmente avversa – e quando dico particolarmente, credetemi – sono stata fortemente tentata dal buttarmi nell’autocommiserazione più pura e completa. Della serie, il mondo è cattivo con me (ok, lo ammetto, l’ho fatto e l’ho scritto anche su Twitter).
Ma è troppo facile. Vero, adesso non scorgo la strada. Per tanto tempo ho battuto una strada accidentata, consapevole degli ostacoli, ma convinta allo stesso tempo che comunque il tragitto fosse chiaro e giusto e ben impostato e che la luce che vedevo laggiù in fondo non fosse un treno in arrivo sul mio binario. Oggi non vedo più niente, né la strada, né la luce, e anche quando la vedo sono convinta – io lo so – che quello è davvero il treno.
Così non funziona. Io non sono una che si lamenta. Io non sono una che si arrende. Io non sono una che aspetta il salvatore, perché davvero se credete ancora nel salvatore che arriva, a risolvere le cose, ve lo dico, state peggio di me.
Io sono una che combatte. Io ho combattuto anche di fronte all’evidenza della sconfitta. Si, lo ammetto, a volte ho combattuto fuori luogo e fuori tempo. Talmente fuori luogo e fuori tempo che Don Chischiotte era un dilettante. Ma non è questo il punto. Io sono una che combatte perché ha fissato una barra e quella vuole seguire. Senza stratagemmi, senza scorciatoie, senza compromessi. Perché solo questo mi permette di tenere la schiena dritta e lo sguardo fiero. Perché non posso fare altrimenti. Ahimè, io non posso fare altrimenti.
Si tira dritto. Anche quando ti senti come una mosca senza antenne che sbatte da tutte le parti. Anche quando ti senti un pesce dentro un acquario, a nuotare in tondo e picchiare il muso ogni volta sul vetro. Si tira dritto, perché così mi hanno insegnato.
E intanto, si allestisce il party sulla riva del fiume (perdonatemi, citazione privata a uso e consumo di poche amiche).
POST SCRIPTUM
Consiglio non richiesto. Se siete depressi e in fase autocommiserativa andate in un bar figo, di quelli frequentati dalla gente di un certo tipo, sedetevi a un tavolino in disparte e ascoltate le conversazioni che vi circondano: in nove casi su dieci sono una botta di autostima paragonabile al Nobel.