Della provocazione

Non credevo di scatenare tutte queste reazioni (sui social, che ormai è lì che si sviluppa, con tutti i limiti dati dal mezzo, il dibattito). Ne sono felice, anche di quelle stizzite, arrabbiate, offese o critiche. Anche di chi dice ‘queste parole non significano niente‘, perché va bene. Vuol dire che si sono spesi cinque minuti del proprio tempo a leggerle ma, soprattutto, a parlare, riflettere, commentare lo stato della cultura a Siena. Questo era l’intento. Non di fare “di tutta l’erba un fascio“, non di dare lezioni al “popolo ignorante“, non di chiudersi nella torre d’avorio da dove guardare con compassione chi sta sotto e fuori.

Provocazione. Dal dizionario: “Atto, comportamento, parola o discorso offensivo o di sfida, che mira a irritare e a provocare una reazione violenta degli altri; con valore attenuato, stimolo intellettuale, invito a riflettere“. Ecco, più la seconda della prima, ché delle reazioni violente ne facciamo tutti volentieri a meno.

Provocazione, questo era. La voglia di far parlare, mica di me figuriamoci, ma di Siena, della sua cultura, dello stato delle cose, del futuro possibile.
Non è, qui, una questione di zumba, di topi dalmata, di teatro di ricerca né, tantomeno di politica o interrogazioni comunali. Affatto. È anche ovvio che ognuno abbia il diritto di dire ciò che vuole (seppur nei limiti della civile convivenza), di partecipare alle iniziative che ritiene interessanti snobbando legittimamente le altre, di criticare senza partecipare. Va tutto bene.

Il punto è un altro. Il piagnisteo. Parola curiosa che qualcuno ha affibbiato al mio post precedente (questo). Ecco, abbiate pazienza ma è proprio il contrario: io lo voglio combattere, il piagnisteo. Voglio combattere il qualunquismo, il “a Siena non accade mai niente“, il “non lo sapevo perché nessuno lo ha comunicato“. Il piagnisteo è il male.

Io non voglio compassione. Né empatia. Né facile consenso, altrimenti facevo un blog di gattini e ricette di cucina. Io non voglio piangere, né piangermi addosso, né lagnarmi di quanto le cose non funzionano perché il sistema è cattivo e mi rigetta. Me ne frego, detto con tutto il francesismo possibile. Io vorrei che parecchi di noi, io per prima, tornassimo a pensare. A leggere. A informarci. A riflettere. A ascoltare anche un’altra campana. A uscire di casa per andare a vedere qualcosa di cui non siamo convinti, che non ci appartiene, che non sceglieremmo proprio per capire, magari, che forse invece ci appartiene pure quella, che potremmo sceglierla. O magari no, per restare sulla nostra legittima posizione ma avendo avuto anche un altro punto di vista.

Io vorrei che il dibattito tornasse ad essere costruttivo e non sterile polemica. Vorrei che parlassimo più alla testa e meno alla pancia, più con la testa che con la pancia (e questo, sì, questo ė tutto un elegante eufemismo).

Bene allora il commento, il dibattito, la critica costruttiva, lo scambio di opinione. Benissimo. Non perché parliamo di me, ma perché attraverso di me parliamo della città e delle sue possibili direttrici di sviluppo e ripartenza economica. Se questo fosse vero, la mia provocazione avrebbe fatto bingo.
Il 19 marzo, ad esempio, la commissione cultura che si sta occupando di disegnare il futuro del Santa Maria è aperta ai contributi di ogni libero cittadino. Fatevi avanti, su. Che criticare è facile…

POST SCRIPTUM
Ieri sera interessante inaugurazione di una mostra di arte contemporanea alla Galleria FuoriCampo. A volte le cose accadono anche a Siena. Se si va a vederle.

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