Censori della zumba, dove siete?

Ieri sera, quando ho varcato la soglia del Santa Maria della Scala, erano poco più delle nove. Lo scenario era un filino spettrale: tutto semi buio e deserto, compresa la piazza fuori, il tragitto ‘obbligato’ che mi ha portato fino alla Sala San Pio. Ero lì per vedere uno spettacolo del festival Teatropia organizzato dai Topi Dalmata; uno spettacolo sulla legalità e, in particolare, sulla trattativa Stato-mafia. Non un tema leggerino da venerdì sera, mi direte, ed è pure vero, ma che diamine non siamo nati solo per prendere aperitivi!

Non mi soffermo sullo spettacolo in sé – teatro civile, allestimento basilare, ricerca sui contenuti, un dialogo abbastanza agile (nei tempi) tra due attori, loro, alcuni aspetti interessanti, altri su cui devo riflettere ancora – anche perché non sono un critico teatrale. Certamente una cosa nuova, che a Siena non era passata e non sarebbe passata, altrimenti.

Mi soffermo sul pubblico. Poco. Questo mi fa riflettere. Venerdì scorso, Teatropia aveva portato un altro spettacolo in una location altrettanto affascinante e poco utilizzata, la sala storica della Biblioteca degli Intronati. Anche lì eravamo pochi e lo spettacolo meritava.
La mia domanda è: che ci frega, allora, a tutti quanti della cultura?

Cosa è la cultura, oltre che un bel tema caldo di cui parlare quando ci scandalizziamo perché accanto al Pellegrinaio qualcuno organizza un corso di zumba? Cosa ci vogliamo fare, davvero, nei nostri spazi? Cosa vogliamo portare a Siena perché, come ci raccontiamo tutti quanti, ‘possa ripartire dalla cultura’?

Ogni santo giorno ci lamentiamo e ci siamo lamentati, negli anni, perché in questa città non succedeva e non succede niente. Eravamo capaci di lamentarci quando i milioni di euro erogati in primis dalla Fondazione Mps permetteva a una città di 50mila abitanti di mantenere una stagione teatrale ‘istituzionale’, diverse istituzioni musicali, almeno quattro festival di teatro ‘sperimentale’, diverse residenze di compagnie teatrali e di danza, mostre faraoniche (anche se non sempre scientificamente valide, ma questa è solo la mia opinione). Eravamo capaci di lamentarci allora e ci lamentiamo ancor di più oggi che siamo chiamati a fare i conti con le difficoltà di reperire le risorse per organizzare le iniziative culturali, per tenere aperti i musei, per portare gli spettacoli o i concerti a circuitare anche qui, in un questa città ai confini (infrastrutturali) del mondo. Ma cosa vogliamo davvero, cosa ce ne frega – davvero – al di là della polemica professionale, politica o strumentale con cui invadere social network e quotidiani?

Come ho già scritto qui, ero stata delusa dalla scarsa partecipazione – e dei soliti noti – martedì alla performance di Michelangelo Pistoletto. Era martedì all’ora di pranzo, mi hanno risposto alcuni, che pretendi, la gente a quell’ora lavora. E posso pure essere d’accordo (ma fino a un certo punto). Ma di venerdì sera, in una bella notte tiepida di quasi primavera, che avevate da fare, a parte prendere l’aperitivo? Magari non vi interessa il teatro. Magari non vi interessa parlare di mafia e di legalità in un paese di cui ci lamentiamo, ogni santo giorno. Magari non vi interessa vedere come nella sale storiche e monumentali del Santa Maria della Scala si possano allestire iniziative intelligenti, adatte all’ambiente circostante, a basso costo e alto stimolo di riflessione.

Perché è più facile criticare. È più facile fare polemica, soprattutto se da dietro un computer, è più facile ergersi a coraggiosi censori di quello che ‘non si deve fare’, piuttosto che lasciarsi andare alla curiosità di vedere anche qualcosa di nuovo. O anche solo alla voglia di essere solidali, con la propria partecipazione, con chi qualcosa prova a farlo davvero anche senza proclami, anche da solo.

Ieri sera, dopo lo spettacolo, ci chiedevamo questo. Cosa stiamo sbagliando? Perché non siamo capaci di intercettare il malcontento, quella voglia di cultura che tanti sbandierano ai quattro venti? Perché non siamo capaci di far muovere il culo a tutti quelli che “a Siena non succede mai niente”?
Una risposta non ce la siamo data, non me la so dare nemmeno io, per adesso. L’unica che mi viene è che siamo un popolo di intellettualmente pigri, anticuriosi in nemmeno troppo lento declino verso la barbarie. Ma forse è una lettura troppo superficiale e certamente troppo amara.

Quel che è certo è che finché non vi vedo non dico proporre qualcosa di alternativo, ma quanto meno partecipare a qualcosa di nuovo – ancorché, magari, solo per criticarlo ci cognizione di causa – beh, fino allora la vostra polemica, la vostra critica, il vostro disfattismo, la vostra lamentela per me non valgono niente.


Post scriptum

Mentre scrivo, mi godo l’ultimo raggio di sole seduta tra gli olivi degli Orti dei Tolomei. Altro posto magnifico dove incontro spesso solo qualche studente coi libri, qualche ragazzo che prova a fare il giocoliere, qualche coppia di adolescenti che si bacia e qualche proprietario di cani, lasciati liberi qui nell’area a loro dedicata. Scrivo, mi godo l’ultimo raggio di sole e guardo sconcertata e intristita, The Drop, la ‘goccia’ di Tony Cragg – la ‘pera’ come l’ha ribattezzata questa città che vuole essere capitale della cultura – abbandonata qui, alla mercé di graffitari e erbaccia. Ma di questo parliamo un’altra volta, magari nel prossimo post.

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8 commenti

  1. Condivido quanto scritto da Figaro, il resto la trovo una lettura superficiale. I senese si spostano… a Colle per il teatro (in genere il cartellone è migliore), si spostano quando associazioni, circoli, cral e agenzie di viaggio organizzano mostre, spettacoli teatrali in varie parti d’Italia si spostano per vedere manifestazioni, per vedere concerti e terra terra per l’abbigliamento ecc. ecc…..Quelle rare volte che ci sono manifestazioni culturalmente rilevanti a Siena abbiamo sempre fatto il pieno. E’ una bellissima città storica e ricca di arte, forse la grande superficialità dei senesi è quella di avere scelto per anni persone non culturalmente all’altezza di Siena.

    1. Sono lieto che trovi quanto scritto superficiale, le assicuro che il giudizio è del tutto ricambiato! Direi che siamo molto in linea nei nostri giudizi! I senesi che si spostano per le iniziative culturali potremmo stimarli a occhio e croce attorno al 2% della popolazione e a fare il pieno di qualche centinaio di persone per due pomeriggi non ci vuole molto…bisogna vedere come tirare fuori le idee per un museo in grado di accogliere decine di migliaia di visitatori (SMS). Nonostante tutto, è chiaro che se almeno gli eventi fossero realizzati bene almeno un risultato mediocre (o poco più) dovrebbe esserci. Concordo anche sul fatto che l’amministrazione degli anni passati – e per ora quella attuale non ha cominciato bene – sia la responsabile i questo sfacelo (mi è sembrato che lei intendesse dire questo). Detto questo, sarebbe cosa gradita che in giro ci fosse qualcuno di più competente. Ad oggi mi sembra ancora tutto da dimostrare!

    2. Gentile Rossana, sono uno dei Topi Dalmata, quindi spero di non commentare in modo troppo partigiano. per evitarlo porrò una domanda vera, ossia non tendenziosa. se tu dici “quelle rare volte in cui (scusa il corrige sul web si scrive sempre di fretta) ci sono manifestazioni culturalmente rilevanti a Siena abbiamo sempre fatto il pieno”. Non posso non dedurre che il Festival Teatropia non rientri tra gli eventi rilevanti. In questi tre anni abbiamo portato a Siena vincitori di quasi tutti i premi più importanti del teatro di innovazione, da Marta Dalla Via a Barabao a Cosentino ai Ragli a Quotidiana.com a Respirale. Quest’anno (luglio 2013) il Premio Scenario lo ha vinto Marta Dalla Via con lo spettacolo che potrete vedere il 29 prossimo. Ecco la domanda, ripeto vera. Abbiamo sempre voglia di proporre qualcosa che possa davvero interessare gli amanti della cultura teatrale (al netto che so di un Beppe Fiorello o di un Luca Barbareschi). puoi gentilmente indicarmi quali artisti dovremmo contattare per raggiungere quella “rilevanza” di cui tu parli? Ti ringrazio anticipatamente per la risposta, e ti saluto cordialmente assieme all’abbraccio che dedico alla blogger che ci ospita.

  2. Caro Federico,
    la formazione del pubblico non è questione di “educazione” impartita da chi è più colto verso gli incolti. Non esiste un teatro “ostico” e uno “leggero”. Esistono solo il teatro buono, e quello cattivo che infesta le stagioni teatrali, scimmiotta la televisione (con buona partecipazione delle sue star) e rende difficile il lavoro di formazione. E qual è il teatro buono, l’arte buona, la musica buona, la danza…? Quella che riesce ad entrare nella vita della gente, a ri-guardare il pubblico seduto di fronte a una scena. La fatica più grossa consiste nel tentare di aprire l’esistenza del pubblico alla vita. E vedrà che piano piano la gente verrà a vedere le belle mostre, gli spettacoli belli, e così via. È difficile “insegnare” alla gente a frequentare il teatro quando ciò che gli si contrabbanda per teatro “leggero” non ha nulla a che fare con il teatro, ma è nei casi migliori semplice intrattenimento. Tanto vale, personalmente, preferisco che rimangano a prendere gli aperitivi, e in grande quantità: che l’ebbrezza li renda contenti, e contenti siano anche i baristi.
    La formazione del pubblico è un lavoro difficile, faticoso, spesso non compreso dalle stesse istituzioni che invece di supportarlo pensano di risolvere tutto affidandosi al marketing (e anche qui, magari gli interpellati fossero veri professionisti) o alla scommessa dello spettacolo. A Siena, per fortuna, abbiamo visto spettacoli che forse lei definirebbe “ostici” traboccare di pubblico. MI piace pensare che fossero persone disposte a vivere piuttosto che semplicemente a sopravvivere. E mi spiace per coloro che non sono nelle condizioni per farlo (che non sono semplicemente economiche, ma esistenziali). Faccio gli auguri a Teatropia, che continuando a resistere prima o poi arrivi ad esistere.
    E invece a lei faccio una domanda: c’è bisogno di riunire un gruppo di persone per scrivere l’ennesima lista di proposte per il Santa Maria della Scala? Come se finora non ce ne fossero state. Basterebbe informarsi: sono più di quindici anni che il lavoro è cominciato, dal momento in cui quel posto ha iniziato a trasformarsi. Di proposte ne sono state fatte a bizzeffe, e alcune anche molto buone, spesso cadute nel buio perché c’era qualcuno che aveva la mania di farne altre, senza sapere nemmeno a che titolo. Sarebbe il caso di uscire da questa mania di “protagonismo popolare”, guardare un po’ oltre il proprio naso (o quello dei nostri vicini) e cominciare a sostenere il lavoro di tutti quelli che già si dedicano da anni a quegli obiettivi. Per non ricominciare sempre da capo, e per fare una volta tanto una politica culturale vera, efficace, partecipata.

    1. Caro Figaro, beh qua allora dovremmo metterci d’accordo. Il 90% delle volte che parlo con concittadini di quello che sta succedendo mi viene risposto (come anche, forse, in questo articolo): sì, tutto bello, “ma tu cosa stai facendo?” La nostra è una maniera di reagire al problema. Se le idee che attualmente sono in ballo arrivano al livello della zumba, allora forse c’è bisogno di riscrivere la progettualità, credo. Mi sembra veramente fuori discussione. Le faccio presente anche che siamo stati chiamati a dire la nostra in un modo “positivo” e abbiamo deciso di raccogliere l’invito. Se gli ultimi quindici anni di governo cittadino non sono stati in grado di applicare le proposte in campo non è certo colpa di chi, le proposte, le ha avanzate, magari dall’esterno. Non mi allontanerei molto dal fuoco del problema, che mi sembra decisamente un altro. Non le proposte e chi le fa, magari manifestando uno spirito civico enormemente sopra la media, appunto.
      Qua le finisco di rispondere a titolo del gruppo che – in qualche modo – rappresento, per iniziare a parlare a titolo del tutto personale. Nonostante rispetti la sua opinione, per quanto riguarda le idee sull’arte di qualità e non di qualità non sono assolutamente d’accordo. Non credo assolutamente che un pubblico inesperto, ad un certo punto, improvvisamente, senza un motivo scatenante, decida di elevare i suoi gusti ad un gradino superiore. Non credo che improvvisamente qualcuno spegnerà la tv, davanti alla quale passa diverse ore della settimana a guardare correre il pallone o ad ascoltare tronisti, per dedicarsi alla musica classica, per passare un pomeriggio a capire chi è Pistoletto, etc. etc. Con buona pace di chi vorrebbe il contrario.
      Francamente non capisco: quale dovrebbe essere lo scarto reale che dovrebbe avvenire? A me pare che se non ci sia un fattore che cambia realmente le carte in tavola, il gioco a sua volta non cambi affatto. Riguardo a quello che scriveva: “È difficile “insegnare” alla gente a frequentare il teatro quando ciò che gli si contrabbanda per teatro “leggero” non ha nulla a che fare con il teatro, ma è nei casi migliori semplice intrattenimento.”
      Anche qua, nonostante realmente rispetti il suo punto di vista (che mi sembra di una persona realmente appassionata alla qualità del teatro che frequenta e/o crea), non concordo. Frequentare un luogo per un motivo apre le strade a frequentarlo per un altro. Fino a prova contraria, qualcuno ha mosso il fondoschiena dalla poltrona per venire ad intrattenersi in un modo diverso dal solito, abituandosi ad un luogo diverso, ad un ambiente che fino a poco tempo prima avrebbe rigettato a prescindere. Inoltre cerchiamo di capirci, non le sto proponendo un intrattenimento di bassa qualità – credo anche qua si possa distinguere, come nell’arte in generale. Non credo vorremmo arrivare a dire che nell’intrattenimento teatrale non può esserci arte. Lei parla giustamente, in conclusione, di formazione del pubblico.
      Di fatto, però, in cosa consisterebbe? Si tratta di una domanda sincera, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa al riguardo.
      Non crede inoltre che la produzione artistica contemporanea, a causa della sua densa componente concettuale, abbia bisogno di essere spiegata meglio alla massa? Se vogliamo coinvolgerla, non mi pare un problema da poco. Mi sembra infatti che l’intero pubblico “di massa” la rigetti in toto, intimorito dalla inesplicabilità dei contenuti. I quali, io credo, sarebbero meglio valorizzati se più del 3% dei potenziali spettatori della nostra società fosse messo in grado di penetrarli.
      Davvero infine, siamo veramente sicuri di avere il desiderio di coinvolgere larghe fette di pubblico? Perché, in caso contrario, dovremmo farci molte domande.
      La ringrazio per il suo contributo e questo scambio.

  3. Buona domenica e grazie ancora una volta per un articolo valido e concretamente impegnato. Trovo la questione esposta davvero centrale all’interno del dibattito per il miglioramento dell’attività culturale della zona. Anzi, a mio avviso l’osservazione che lei alza è la questione più importante. Parto da una riga del suo articolo: “un popolo di intellettualmente pigri, anticuriosi in nemmeno troppo lento declino verso la barbarie”. Questo è il popolo italiano? Assolutamente sì. Diamine, c’è davvero bisogno di chiederselo? Lo sappiamo benissimo. In fondo, però, per antonomasia, non ha forse tali qualità il popolo tutto, in generale – di ogni nazione e civiltà? Il popolo è anticurioso, è strumentalizzabile, è intellettualmente pigro, è in un declino naturale verso l’ignoranza, a meno che non lo si educhi. E’ il popolo, lo è sempre stato e forse sempre lo sarà. Proseguo a sciogliere il filo del discorso citando un altro brano dell’articolo: “Perché non siamo capaci di intercettare il malcontento, quella voglia di cultura che tanti sbandierano ai quattro venti? Perché non siamo capaci di far muovere il culo a tutti quelli che “a Siena non succede mai niente”?”. Secondo me, perché non facciamo nulla per farlo. Mi spiego: adoriamo un raffinatissimo gelato alla cannella e zenzero che vendono in una gelateria un po’ fuori mano. Se desideriamo davvero aumentarne il consumo cittadino, non possiamo pensare di ottenere un serio risultato aggiungendo un timido cartello davanti alla spoglia vetrina. Allo stesso modo, non possiamo pensare di aumentare realmente la fruizione del museo con iniziative, per quanto pregevoli, del tutto lontane dal palato degli ampi flussi, totalmente prive di una promozione massiva. Perché di massa stiamo parlando. Prive di quel miele sul bordo del bicchiere con cui Lucrezio faceva bere una medicina amara più di 2000 anni fa. A volte, in effetti, mi viene da chiedere: siamo eruditi o siamo colti? Le cose che abbiamo imparato ci aiutano a comunicare con gli altri e ad essere uomini migliori, oppure sono sterili? Quante persone in città realmente sapevano di Pistoletto e, soprattutto, quanti in città sanno ancora oggi chi è Pistoletto? Lei mi dirà: colpa loro. E io le rispondo: ha ragione, acculturarsi è un dovere umano, ma se vogliamo migliorare le cose dobbiamo partire dalla realtà. La realtà è che la gente Pistoletto, visto da lontano, non lo capisce. Pistoletto è la medicina amara: serve il resto. Il risultato è, regolarmente, infatti, (c.v.d) il ritrovarsi dei soliti abitué ad apprezzare le meraviglie di questo inaccessibile e sconosciuto gelato. Guardi anche The Drop: chi si è posto il problema, realmente, di far capire il significato di quell’opera al cittadino ignorante (nel senso che letteralmente ne ignora il significato)? Io non credo, seriamente, che possiamo lamentarci. Forse perché sono un meccanicista, come Lucrezio, e credo che una reazione derivi solo da uno stimolo appropriato. Penso che chi ha l’organizzazione degli eventi culturali in mano sia obbligato a farsi una domanda: “come posso coinvolgere le persone che non verrebbero MAI a vedere gli eventi che promuovo”? Dato che all’interno di tali iniziative si fa cultura, questo è un meccanismo che muta l’organizzatore in un educatore, che si deve porre il problema, forse per la prima volta nella storia, non di obbligare a studiare (scuola dell’obbligo). Invece, di accattivare allo studio. Serve una grande professionalità per gestire questo tipo di organizzazione. Sicuramente non un professionista di marketing, se non vogliamo vedere il museo pieno di cenini nel giro di un mese. Serve qualcosa di più. Probabilmente il frutto della collaborazione di più competenze. Ti faccio anche un esempio per non cadere nel solito radical-chic di chi critica e non porta proposte. Come faccio a valorizzare uno spettacolo teatrale dai contenuti ostici? Potrei immergerlo in una vasta programmazione di spettacoli leggeri e di evasione, per niente ermetici, narrativi e di agilissimo accesso. Allo stesso tempo, di altissima qualità. Chi, abituato a vedere uno spettacolo leggero, si troverà davanti a qualcosa di più impegnato, si troverà sulle poltrone pronto a guardarlo. E, chi sa, forse diventerà pronto a bissare l’esperienza. Banale? Semplicistico? Io non credo. Una cosa è sicura: se non ci “sporchiamo le mani” non raggiungeremo mai un’utenza diversa da noi.
    Dove erano gli indignati del SMS? Le posso rispondere almeno per una parte, perché sono uno degli studenti che ha scritto “Santa Maria dello Step” (che fantasia abbiamo avuto tra tutti, con questi titoli). Chiaramente rispondo solo per questo gruppo, degli altri voglio sapere poco. Alcuni erano insieme a lei, ad esempio da Pistoletto. Altri, me compreso, no. Le posso dire inoltre dove saranno a breve, nel giro di poche ore: a scrivere un programma di proposte da presentare il 19 marzo alla Presidente della Commissione Cultura per lo sviluppo del Santa Maria della Scala.

    Un cordiale saluto.

    PS: tengo comunque a sottolineare che le opinioni qui espresse sono totalmente a titolo personale e non a nome di tutto il gruppo.

    1. In molte cose sono assolutamente d’accordo. Anche che le persone vadano educate ad apprezzare qualcosa che è lontano dalla loro iniziale sensibilità. Non mi piace mai cadere in un banale ‘colpa loro’, perché non lo è o lo è solo in parte. E sta sempre a chi progetta le politiche culturali anche l’obbligo morale di essere capace di diffonderle, allargando il pubblico al di fuori dei soliti abitué. Questa era chiaramente una provocazione che ha lo scopo non di raccontare la ‘verità’ perché purtroppo non la ho, ma di sollevare un dibattito che vada oltre la sterile polemica e porti la città a interrogarsi davvero su cosa fare e come fare per cambiare il proprio destino. Spero che non siate i soli a lavorare a un’idea, una proposta per il Santa Maria. Spero che altri lo stiano facendo. Allora si, davvero la mia provocazione avrebbe un senso. A presto!

      1. Ah, lo speriamo davvero. Speriamo soprattutto che qualcosa di buono, proposto dall’uno o dall’altro, venga sviluppato concretamente. A presto!

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