Il giornalista freelance è il mestiere più bello del mondo. Quando te ne accorgi, quando passi il limite segnato dal sentirti uno sfigato precario senza prospettive e decidi invece di autoproclamarti un freelance, ti sembra di essere dio. Perché sai di poter scrivere, innanzitutto. Di quello che ti chiedono ma anche di quello che ti va. Senza imposizioni né limiti, solo vedere il mondo, ascoltare le persone e poi scrivere. Poi perché ti sei liberato del desk. Significa non avere orari, non avere turnazioni antipatiche né piani ferie da concordare, significa non dover segnare le notti o ipotecare le domeniche e, più di ogni altra cosa, significa non restare inchiodato ad aspettare pezzi di altri cui devi dare solo una forma e un titolo. Per chi ama scrivere e ha la pretesa di raccontare il mondo, il desk è una tomba di legno e computer in cui finire seppelliti come le mummie dentro i sarcofagi, con la sola speranza che prima o poi, un giorno, un archeologo esploratore arrivi ad aprirti il coperchio prima che sia troppo tardi.
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Perché ci siamo fatti travolgere dall’uragano petaloso
Me lo ero immaginato subito, ieri sera, quando ho visto comparire la notizia sulla timeline di Facebook, condivisa da un’amica. Dopo un quarto d’ora, le condivisioni erano tre. Tre amiche che non si conoscono. Lì ho capito la portata della cosa: l’uragano petaloso ci avrebbe invaso a breve.
Perché Sanremo è Sanremo. Puntata n.1
Sociologia del Capodanno (silenzioso)
Il 31 dicembre ho scelto una cena con amici, a casa mia. Abbiamo fatto un lungo aperitivo, mangiato con calma, pure troppa: quando è arrivato il momento del brindisi al nuovo anno, noi dovevamo ancora mettere in tavola il secondo; abbiamo bevuto buon vino e chiuso la nottata giocando a stupidi giochi anni Novanta, con regole modificate al momento per nostro uso e consumo. Ci siamo presi in giro, accapigliati in nome di un mal celato agonismo. Abbiamo fatto tardi, ascoltato musica, riso, bevuto, brindato, chiacchierato.
È sempre estate
Non avevamo i cellulari. Forse ‘solo’ questo ci distingueva dagli adolescenti di oggi. Erano gli anni Novanta e noi eravamo un piccolo clan, ragazzini che arrivavano ogni anno, sempre nello stesso modo, puntuali da diversi angoli dell’Italia fino a qui, al nostro mare. Principina è un grappolo di case proprio nel cuore della Maremma, già immerso nella pineta al confine con il parco dell’Uccellina. È stato il parco, con le sue regole rigide, a salvarla dallo sviluppo turistico, a bloccare l’edilizia, poche case, tutte basse affinché i tetti restassero sotto le chiome dei pini, un solo viale che la taglia al centro su cui si affaccia qualche sparuta bottega, rimasta ferma a una cartolina degli anni Sessanta.
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