E così Siena va al ballottaggio. Dopo vent’anni, l’ultima volta era stato il 1993, quando si scontrarono Dc e Pci e alla fine fu incoronato Pierluigi Piccini. Stavolta tocca a Bruno Valentini (candidato Pd a capo della coalizione di centrosinistra) e Eugenio Neri (leader delle liste civiche ‘Baricentro civico’ che, per comodità, è stato indicato da molti come candidato di centrodestra: e vedeste come se la sono presa gli esuli dei Ds e della Cgil che invece lo appoggiano). Insomma, da una parte un militante politico e sindacalista di lungo corso, già sindaco di Monteriggioni; dall’altra un cardiochirurgo neofita (lui stesso ha scelto questo appellativo per sé) ed esponente di una delle più affermate e storiche famiglie della borghesia senese. Ma anche, da una parte, la spinta di rinnovamento interna di un partito – il Pd – sull’onda dell’esperienza di Matteo Renzi (endorsement esplicito, il suo per Valentini) e con la volontà di spazzare via l’ala ceccuzziana e, dall’altra, un conglomerato di soggetti variegati che potranno stare insieme in lista, ma che poi ci sarà da vederli, a votare compatti sui contenuti e sulle proposte.
Chi la spunterà? Difficile dirlo. Valentini parte senz’altro avvantaggiato, forte del 40% incassato al primo turno e della storia della città che mal si sposa con una deviazione a destra. Ma i giochi non sono fatti, tutt’altro. Neri si coccola un 23% oltre le aspettative e attende di vedere che succede sugli altri fronti. Sulla maggior parte dei quali c’è silenzio, quando non vera ostilità per entrambi; solo Marzucchi e Corsini si propongono per apparentarsi a sinistra (ma pesano poco più del 5% in due, e a che prezzo poi?), mentre Falorni porta il suo 6% circa a Neri. Anche così, entrambi rimangono parecchio lontani dall’obiettivo. Resta da capire che succederà all’affluenza, in crollo italiano ma che a Siena tutto sommato ha retto, registrando un calo del solo 8%. Meglio degli altri, ma dato comunque drammatico per la roccaforte bulgara e partecipativa che solo 5 anni fa (politiche 2008) aveva portato alle urne l’85% degli elettori.
In ogni caso, dunque, ecco il ballottaggio che la città aspettava. Perché, nonostante per le amministrative manchino i sondaggi ufficiali, il polso di Siena ben sapeva cosa sarebbe accaduto. E anche le previsioni numeriche non erano andate così lontane. Insomma, gli unici a stupirsi sono stati ‘quelli di fuori‘. Quelli che hanno creduto che Beppe Grillo e la sua cavalcata strumentale dello scandalo Mps avrebbero tirato la volata al M5S (21% qui, alle politiche di febbraio) facendo “di Siena la nuova Parma” (come ha scritto l’imprudente candidato Pinassi sulla sua pagina Facebook). O quelli che hanno creduto che l’affaire Mps avrebbe punito il Pd, marcio e solitario stratega della tempesta finanziaria e giudiziaria del secolo. Tutto sbagliato. Siena non è così.
E non basta ‘bazzicare’ i social network per spizzicare pezzi di storia, né trascorrere una mezza giornata in città, magari parlando con questo o quell’imbonitore interessato a veicolare la propria versione dei fatti. Non basta passeggiare per il Corso, sperando di cogliere qualche commento folkloristico di questo o quel contradaiolo, meglio se incentrato sul Palio, ché così è facile raccontare che ai senesi interessa solo quello.
Siena è città complessa e complicata. Città dove le mille viuzze, scalinate, passaggi e anfratti che il Medioevo le ha conservato rappresentano solo una millesima parte degli anfratti e degli androni in cui si nascondo le idee, le posizioni annodate, le alleanze incrociate, le opinioni distinte, le strategie celate. Siena è “città di sogni e di chimere“, sì, ma è anche la città del Colle di Malamerenda. E se non sapete che significa, allora è facile capire perché il risultato di queste elezioni vi lascia così stupiti.