Domenica mattina, inizia la settimana di Ferragosto. Sono tornata dalle ferie, cinque giorni ma questo passava il convento e me li sono goduti tutti. Sono tornata dalle ferie e sono rilassata, abbronzata e di buon umore (nei limiti in cui ‘buonumore’ e ‘tornare dalle ferie’ possano compatibilmente coesistere nella stessa frase). Esco per riappropriarmi della città dei suoi ritmi, dei suoi colori. Sì, è la settimana di Ferragosto, ma a Siena è già Palio. Con la terra in Piazza, il pavimento spettacolare del Duomo eccezionalmente aperto per i turisti che affollano la città, sfidando l’afa e la crisi economica.
Esco di casa, dunque. Voglio regalarmi una colazione come si deve. Ma devo girare mezzo centro storico per trovare un bar aperto. E non all’alba, giuro, ché l’alba a me non è mai appartenuta. Alla fine cedo, entro dal Nannini. Non mi piace più, non ha più il fascino storico del bar che ha fatto la storia della pasticceria senese. Non ha più quella qualità né quell’attenzione per il cliente, ma d’altronde se mi voglio svegliare mi serve un caffè e questo è l’unico posto che alla mia ‘alba’ ha ancora delle paste esposte nel bancone.
Il mio buonumore continua. E ci sono i saldi. E se lo shopping ha potere terapeutico riconosciuto, quando sei in fase critica, figuriamoci quanto può stimolare il tuo ego quando, come nel mio caso di oggi, già te lo porti in giro accarezzandolo dolcemente. Ma in centro è tutto chiuso. Chiuso stuccato. Serrande abbassate, cancelli sbarrati, vetrine spente. Resistono qualche franchising e qualche negozietto di gingilli da turisti. Per il resto, desolazione di strade deserte, lasciate a bollire sotto il sole d’agosto, in mano a visitatori spaesati che gironzolano senza meta.
Ok, è domenica mattina ed è la settimana di Ferragosto. Tutti vorremmo essere a goderci l’estate e le meritate ferie dopo un anno difficile. Lo capisco. Ho fatto cinque giorni di mare, so cosa significa restare a lavorare in città, quando le lastre ribollono e la gente posta su Facebook le foto di aperitivi sulla spiaggia. E’ faticoso. E’ vero.
Ma Siena è una città turistica. Oltre ad essere una città che vive, come continuiamo a ripetere, la fase più buia e critica della propria storia moderna. E’ una città che deve lasciarsi alle spalle l’annus horribilis – sempre che ci riesca – e guardare avanti. Al futuro. Un futuro che passa inevitabilmente da qui: dalla cultura, dalla bellezza, dalle arti. E dal turismo, che diamine. Il turismo che arriva d’estate, con il caldo; che arriva nella settimana di Ferragosto; che arriva per il Palio che per noi è sì, certo, amore filiale e tradizione radicata, ma che è anche un volano per l’economia del territorio.
E allora l’energia, la forza per ripartire si vedono anche da qui. Dalle piccole cose. Da un bar aperto la domenica mattina. Da un negozio illuminato. E dai musei, per carità, e da una miriade di altre piccole attenzioni – le strade pulite, la spazzatura ritirata, i parcheggi disponibili, i mezzi pubblici migliori, la segnaletica per il turista adeguata, magari anche multilingue. Una miriade di piccole attenzioni che per noi, oggi, non possono essere un vezzo. O un valore aggiunto. Devono essere vita.
Non posso spendere, continuo a passeggiare. I colori della città li assorbo di nuovo, anche così. In una strada meravigliosa e che ora mi appare desolata incontro una coppia di ragazzi. Zainetto in spalla, occhiali da sole, accento del nord Italia. Si tengono per mano, lei si avvicina a una vetrina, si fa scudo con la mano per limitare il riverbero del sole sul vetro buio. “Ma perché è tutto chiuso?” chiede a lui.
Già. Perché?