42 giorni. Sono passati 42 giorni da quando le elezioni politiche hanno consegnato al Paese un Parlamento inutile. Spaccato irrimediabilmente, incapace di trovare soluzioni condivise e assolutamente disinteressato ai problemi del Paese. Sì, non facciamoci ingannare: disinteressato è la parola esatta. In questi 42 giorni, Napolitano ha fatto delle consultazioni; Bersani ha avuto un pre-incarico e l’ha dato indietro; allora Napolitano ha fatto altre consultazioni e ha chiamato i ‘dieci saggi’ – versione moderna e adulta dei ‘sette nani’.
Nel frattempo, nei 42 giorni, in nome del cambiamento il PD ha avuto il coraggio di proporre alla guida di Camera e Senato Franceschini e la Finocchiaro – che fortunatamente sono stati rispediti al mittente. Il PDL ha fatto una manifestazione di massa, occupando la scalinata del tribunale di Milano (mai occasione fu più sprecata). Monti è scomparso dalle cronache e rimasto saldamento a capo di un Governo che di fatto non esiste e che non ha alcuna maggioranza parlamentare. E quelli del Movimento 5 Stelle che hanno fatto? Prima si sono spaccati sulla obiettivamente ardua scelta tra Grasso e Schifani; poi hanno mandato in diretta streaming la chiacchierata da bar con Bersani; poi hanno strepitato che non si accordano con nessuno e che non voteranno alcun governo se non quello fatto da loro stessi medesimi. Infine – vero colpo da maestri – si sono fatti rapire da un pullman e portare in una località segreta, inseguiti da una fila di auto con troupe televisive che hanno poi passato il pomeriggio arrampicati sul cancello di un casolare campagnolo.
E pensato, è tutto vero. Nessuna invenzione. Come diceva la Gabanelli ieri sera, nell’incipit della nuova puntata di Report “quando il Parlamento si deciderà ad occuparsi dei fatti nostri” sarà sempre troppo tardi.
Ma davvero noi siamo capaci di restare così, attoniti e immobili, di fronte a tutto questo? Di guardare 945 parlamentari passare le giornate a parlarsi addosso, a discutere di niente, a occuparsi delle loro esclusive dinamiche di potere, ad assicurarsi di spartirsi le cariche in modo equo, mentre là fuori – qua fuori – il Paese affoga? Sì, ne siamo capaci. E, per la verità, ci viene piuttosto bene.
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42 giorni, gli stessi 42. Sono passati 42 giorni da quando il candidato sindaco del PD senese – indicato dalle primarie di coalizione – ha fatto il famoso ‘passo indietro’, rinunciando alla corsa amministrativa dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. L’annuncio del ritiro – anche qui, vero colpo da maestro – nel giorno delle elezioni politiche, ché l’attenzione era ovviamente altrove.
Deve essere stato per quello – perché non era attento – che il PD senese ci ha messo 42 giorni per scegliere il nuovo candidato; anzi, i due nuovi candidati che dovranno sfidarsi con altre primarie, stavolta di partito e non di coalizione, nell’ultima domenica disponibile prima del termine per la presentazione delle liste. 42 giorni in cui la città – anch’essa come il Paese, attonita – ha guardato e aspettato. Ha letto sdegnata i giornali, si è infiammata ora per una dichiarazione, ora per l’altra, ha immaginato scenari da fantapolitica, appassionandosi alle cronache quotidiane come alle puntate di Beautiful.
Ovvero sapendo che, alla fine, non sarebbe successo nulla.
Eccola qui, Siena: microcosmo nel macrocosmo, ancora una volta dimostra di essere piccolo specchio delle complesse eppur banali dinamiche nazionali. Dove i ‘potenti’ strepitano senza dire nulla; si battagliano sugli schermi, per poi finire a cena allo stesso tavolo. Si indignano e si offendono reciprocamente, salvo trovare poi, sempre, una soluzione che li metta d’accordo. E mai, nemmeno per una volta, si pongono il reale obiettivo di fare qualcosa di giusto per il bene comune.
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(da Caterina va in città, di Paolo Virzì. L’incontro tra il padre di Margherita – professore e intellettuale, esponente della sinistra radicale – e il padre di Daniela, sottosegretario in quota estrema destra con devianze fasciste, convocati dal preside del liceo dopo che le figlie si sono picchiate)