Torno a bomba perché un amico mi ha fatto riflettere su una cosa: la home page di oggi pomeriggio del Corriere della Sera che per comodità vi mostro qui:

La notizia proprio sotto la testata riguarda la Carige, Cassa di Risparmio di Genova coinvolta in uno scandalo finanziario: in pillole, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Genova ha eseguito sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti di Carige a cominciare dall’ex presidente Giovanni Berneschi (vicepresidente dell’Abi) e dall’ex amministratore delegato di Carige Vita Ferdinando Menconi, entrambi agli arresti domiciliari (l’articolo per intero lo trovate qui).
Cosa so della situazione Carige: pochissimo, quello che ho letto. Cosa mi colpisce: la foto. Perché l’ex vice presidente dell’Abi, agli arresti domiciliari, non è ritratto in una foto qualunque, all’Abi, alla Carige o a casa sua: è ritratto evidentemente a Siena, di fronte a Palazzo Comunale. Cosa c’entra Giovanni Berneschi con Siena: niente. Scorrendo il suo curriculum pare di capire che da qui non sia mai passato. Di certo, se anche ci è passato, non in relazione ai fatti per cui oggi è finito sui siti (e domani finirà sui giornali).
Simpatica idea di un impaginatore burlone? Può darsi. Selezione randomizzata di foto d’archivio che si susseguono? Può darsi anche questo, visto che prima e dopo, nella giornata, in home page campeggiava un’altra foto, sempre lui ma in altra sede.
La cosa curiosa – e curiosa si fa per dire – è che ormai da un po’ di tempo Siena pare diventata lo scenario ideale per ogni scandalo. I nostri – che ci siamo coltivati e cullati come serpi in seno – e anche gli altri, se un legame anche minimo ci può essere state sicuri che salterà fuori.
Lunedì sera la puntata di Report sullo svenduto patrimonio immobiliare della Democrazia Cristiana aveva fatto lo stesso: tra i 508 immobili di cui si sono perse le tracce, uno dei pochi focus era su quello senese, vicino a Piazza del Campo, acquistato all’epoca da Alberto Monaci.
Il che va bene, voglio dire, non sto chiamando a raccolta l’insabbiamento, la volontà di tacere, di negare, di nascondere. Anzi, bene che le cose vengano fuori. Tutte quante. Fino in fondo. Così che si possa fare una seppur dolorosa pulizia e ripartire davvero, una volta per tutte.
Però – senza urlare al vittimismo che non mi è mai piaciuto – non posso non notare, a tratti, una certa solerzia quasi soddisfatta nel vergare memorabili pagine sul “sistema Siena” e sul suo crollo, quasi come se dietro ci fosse una vocina che insinua “finalmente, era l’ora, pensavate di essere ganzi ma vediamo ora di che pasta siete fatti“.
Mica colpa dei giornali, eh, i giornali raccontano quello che accade. La colpa semmai è nostra che tutto questo l’abbiamo accettato, sopportato, a volte ignorato quando addirittura non ne siamo stati parte, partecipi, collusi, complici. Abbiamo aspettato che venissero da fuori a farci aprire gli occhi e oggi questo ci disturba, ci fa indignare, oggi, a volte, ancora e nonostante tutto, non accettiamo certe verità e preferiamo rinchiuderci in un isolazionismo travestito da senso di appartenenza. Siamo tutti di Siena, stringiamoci a coorte e ricacciamo l’aggressore. No.
Per niente. Siamo tutti di Siena sì, e il senso di appartenenza lo conosciamo. Ma a quello dobbiamo fare appello non per contrastare il fantomatico aggressore mediatico esterno. Per niente. A quello dobbiamo fare appello per coltivare i nostri anticorpi e diventare capaci, i nostri scandali, di estirparceli da soli. E magari evitare che si ripetano. Certe dinamiche, certi comportamenti, certe ingerenze, certi reati – sì, diamine, sono anche reati – dobbiamo essere capaci di vederli da soli, prima degli altri, proprio perché siamo qui e li abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. E quando andiamo a prendere decisioni – decisioni che peseranno su tutta la città – dobbiamo avere l’onestà, non solo intellettuale, di scegliere la soluzione migliore. Non la nostra soluzione migliore, ma la migliore per la comunità. E se non c’è, di costruirla. Altrimenti diventiamo vittime, sì, ma di noi stessi. Altrimenti tutto è vano. Altrimenti è inutile scagliarsi contro i commentatori cattivi che si divertono a dipingere male Siena. “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così” diceva Jessica Rabbit (e a volte, ammetto, lo dico anche io). Ma noi non siamo un cartone animato. Evitiamo (se possibile) di diventare una barzelletta.
Post scriptum
1. Il parallelo tra Siena e Genova – o meglio tra Mps e Carige – già circolava da tempo e aveva stuzzicato più di un appetito. Uno su tutti il vice direttore di Repubblica Massimo Giannini, qui.
2. A breve le nomine della presidente e della deputazione amministratrice della Fondazione Mps (in scadenza il 9 giugno): potrebbe essere un bel banco di prova. vediamo se ci riesce fare la cosa giusta.
3. Sul concetto di ‘bene comune’ Massimo Cacciari ha tenuto una superba lectio magistralis proprio a Siena, per il Capodanno senese. rileggetevelo, se vi va; lo trovate qui.