Cara Giulia,
scrivo a te. Che hai il mio nome e che, con i tuoi pochi anni, potresti essere mia figlia.
Scrivo a te, che mi hai fatto piangere mentre ti guardavo, col pigiama impolverato e la coda di cavallo, attonita, impietrita, abbracciata al vigile del fuoco che ti ha tirato fuori, viva, da sotto le macerie di casa tua, aggrappata a lui ma senza forza, senza vigore, con quei piedini abbandonati, lo sguardo perduto, la bocca serrata.
Come una bambola di pezza ti ha preso in braccio, lui, dopo essere riuscito a tirarti fuori da quell’orrore di buio e polvere. Come una bambola ti ha portato giù dai sassi, verso un soccorso, un po’ d’acqua che potesse bagnare quella tua bocca sbarrata e riarsa. Quante ore sei stata lì sotto, Giulia? A cosa hai pensato, come hai fatto a resistere al buio, alla paura, all’asfissia, ai dubbi, alla voglia di urlare, di chiamare la tua mamma, ché è quello – chiamare la mamma – l’unica cosa che vogliamo fare tutti quanti, anche noi adulti, quando abbiamo paura?
Chi c’è ad aspettarti in fondo a quei sassi, Giulia, chi c’è a stringerti nell’abbraccio che meriti e di cui hai bisogno, ad asciugare i tuoi occhi, a strigare i tuoi capelli intrigati dalla polvere, a cambiare il tuo pigiama sporco e stropicciato con qualcosa di fresco e pulito?
Scrivo a te, Giulia, mentre sono al sicuro, nella mia casa che è lontana dalla tua e per questo non è crollata. Mentre cerco di lenire il mio senso di inutile colpa con una donazione – di pochi soldi, perché il sangue non l’hanno voluto, nemmeno quello ho potuto darvi in questo momento – e partecipando alla raccolta di qualche indumento da mandarvi, con la condivisione delle informazioni importanti sui social, che a te e a voi non servono ma che servono a noi, a noi che siamo lontani, per sentirci un po’ più vicini a voi, un po’ più parte di quest’orrore che ci annichilisce e ci coinvolge dentro al dramma, per quel senso di Paese e di comunità che, in molti, nonostante tutto, non abbiamo perduto.
Ti guardo abbracciata a quel vigile del fuoco, Giulia, e ti auguro con tutto il cuore che tu possa dimenticare. Che tu possa dormire un sonno senza incubi, che tu riesca a lasciarti alle spalle la paura della notte infida, che tu torni domani in una scuola sicura che non crolla, in un letto sicuro da cui nessuno debba portarti via in mezzo alla polvere. Ti auguro di riaprire i tuoi begli occhi su un mondo giusto, un mondo da bambini, dove i colori cancellino il grigio di tutta quella polvere e dove i suoni spazzino via l’orrendo ringhio delle scavatrici e dei picconi.
Ti auguro di diventare bella e forte e sana e vera, di sciogliere la tua coda di cavallo e di ritrovare il vigore delle tue mani e delle tue gambe. Ti auguro di crescere in un Paese che ama – come sta dimostrando in questi giorni nel suo volto migliore, quello dei volontari, dei militari, di tutti quelli che in un modo piccolo o enorme stanno dando una mano a quelli come te; in un Paese che abbia a cuore se stesso tanto da costruire un futuro migliore per i suoi figli, come te e anche come me.
Bentornata al mondo, Giulia.
ps – la foto di copertina è un frame del video di SkyTg24